«Siete un pugno di uomini indecisi a tutto», così apostrofava gli italiani Mino Maccari. Lui, che era stato fascista nel Ventennio, non sopportava la non scelta, l’indecisione, insomma quello che nei decenni successivi divenne un tratto dell’”albertosordismo” come identikit dell’italiano medio. Al contrario la postura della destra, fino ai giorni nostri, si è ispirata all’assertività, alla rapidità, all’atto di matrice gentiliana. Povera destra, quella attuale, pur così certa del fatto suo!
Ieri l’ennesimo vertice a vuoto. Sono tre mesi che non riesce a cavare un ragno dal buco sul nome del candidato sindaco nella Capitale, mentre la sinistra, tanto per cambiare, sforna nomi su nomi ma almeno, pur nella sua pulsione autodistruttiva, decide.
La destra invece ha già bruciato molti nomi, la maggior parte dei quali ignoti ai più, planando infine su Maurizio Gasparri, tanto per rinverdire i fasti della generazione alemanniana sia pure ripulita in salsa berlusconiana. Invece, niente: nemmeno Gasparri va bene.
Persino la “nipotina” Giorgia Meloni dicono si sia messa a ridere quando le è stato chiesto un parere sul nome dell’ex dirigente del Msi. Gioventù ingrata: Gasparri è Gasparri, ben oltre la memorabile imitazione che ne fece Neri Marcorè, è un politico vero, un navigatore esperto, un abile ammonticchiatore di voti.
Ieri era parso di capire che Gualtieri e Calenda già brindassero per una scelta considerata votata alla sconfitta forse già al primo turno. Sulla qual cosa non si può giurare, perché quella destra ex fascista che piace alla gente che non piace, dal generone romano a realtà sociali border line, a Roma esiste eccome.
Comunque sia, Gasparri non c’è. Bruciato. Bisognerà attendere ancora giorni e giorni per conoscere il cavallo di una destra che sembra andare per funghi cercando un nome credibile per governare la Capitale, una figura competitiva contro due ex ministri, Roberto Gualtieri e Carlo Calenda, e la sindaca uscente Virginia Raggi che malgrado il discredito comunque un suo sistemino di potere se l’è costruito.
Ma ecco che la destra, quella a Roma egemonizzata dalla rampantissima Giorgia, coadiuvata da un ex ministro dell’Interno capace di sequestrare barconi e da quella strana creatura che è diventata Forza Italia che pure dovrebbe avere nel suo dna un po’ di decisionismo made in Arcore, quella destra che vuole governare l’Italia dopo il politico più decisionista di tutti – Mario Draghi – ecco che non sa tirare fuori un nome decente. Indecisa a tutto.
Un altro vecchio leone già Msi, Ignazio La Russa, aveva sparso la voce di qualche militare, credendo che fosse facile trovare un Figliuolo per Roma, e anche qui buco nell’acqua. Di Guido Bertolaso si sono perse le tracce dopo il suo gran rifiuto, ed era forse il nome più forte, e poi è saltata anche Giulia Bongiorno, che come penalista e aspirante ministra al Campidoglio non ci pensa proprio, mentre due giorni fa era apparso un nome a noi sconosciuto, Enrico Michetti, avvocato, noto agli ascoltatori di una storica radio romana dove tiene lezioni di diritto, stimato da Giorgia Meloni ma non tanto da Forza Italia.
Michetti, che aveva subito ottenuto vari endorsement fra cui quello di Martufello («Uno dei pochi uomini di cultura che decide di metterla a disposizione di tutti») in teoria è ancora in campo mentre l’indecisionista Giorgia pensa anche al fratello d’Italia Fabio Rampelli o comunque a un politico a tutto tondo.
Proprio nella Capitale dunque la forza della destra, che di Roma ha sempre avuto un’idea mitica, si incarta nel gioco dei veti incrociati ma soprattutto nel deserto di figure autorevoli: e deve davvero essere un contrappasso insopportabile, per lei.