ChicchiIl fascino vintage della moka

Dal gusto per l’amaro alle origini della caffettiera che deve la sua forma iconica a un inventore che sapeva osservare la realtà e trarre, dai dettagli più insignificanti, idee geniali

Avete mai visto le facce buffe e i pianti che seguono l’assaggio di un alimento amaro di un bimbo durante lo svezzamento? Siamo per natura portati a preferire i gusti dolci: il latte materno è dolce e voluttuoso, e quello è il sapore principe per il nostro palato non allenato. È quello il gusto che ricerchiamo nel tempo, e che ci gratifica maggiormente.

Il sapore amaro, invece, si è evoluto in natura per proteggerci da sostanze potenzialmente velenose o comunque nocive. Ma alcuni alimenti, decisamente amari, sono comunque per molti di noi irresistibili in età adulta. Come ci è successo di perdere la testa per la bevanda amara per eccellenza? Uno studio pubblicato su Scientific Reports indaga il rapporto tra genetica, sensibilità all’amaro e predisposizione a consumare caffè, tè e alcol.

A rigor di logica, al primo sorso di espresso dovremmo provare un impulso quasi istintivo a sputarlo. Eppure, gli scienziati della Northwestern University (Illinois) che hanno condotto lo studio si sono accorti che le persone più sensibili al sapore amaro della caffeina sono anche quelle che bevono più caffè. Per gli autori del lavoro, questa predisposizione a ricercare e apprezzare la sostanza deriva da esperienze di rinforzo positivo: si impara ad associare la caffeina ad effetti positivi di stimolazione e benessere, e queste risposte dell’organismo rendono ancora più recettivi al suo caratteristico sapore.

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Se i più sensibili alla caffeina consumano più caffè e pochissimo tè, chi è geneticamente più suscettibile all’amaro da chinino (che dà l’amaro all’acqua tonica) e PROP un composto sintetico che ricorda l’amaro delle crucifere (cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles) tende ad evitare il caffè e – nel caso di forte sensibilità al PROP – anche l’alcol, in particolar modo il vino rosso.

Dove scopriamo il gusto amaro? Sulla lingua, certo. Ma dove si scatena il piacere nel gusto? All’origine delle sensazioni idilliache che proviamo assaggiando la nostra bevanda o il nostro cibo preferito c’è un minuscolo agglomerato di cellule sensoriali, il calice gustativo, nascosto all’interno delle papille fungiformi. Ognuno di questi “centri” è sensibile a più sapori (dolce, amaro, salato, aspro e umami) codificati da diverse fibre nervose. Non dimenticate di attivarli quando gusterete il prossimo espresso!

Che cosa c’entra la caffettiera più celebre al mondo con le lavandaie di inizio 900? Se sei il signor Alfonso Bialetti, moltissimo. Perché secondo la versione più accreditata della storia della nascita della moka, il signor Bialetti ebbe l’idea intorno agli anni ’20, osservando proprio le lavandaie che facevano il bucato in una vasca, provvista al centro di un tubo dal quale fuoriuscivano acqua calda e sapone, pronti ad irrorare i panni sporchi.

Questo processo così emblematico fece scattare nell’inventore l’idea di base di questo prodotto di disegno industriale italiano famoso in tutto il mondo, che pur avendo subito negli anni qualche lieve modifica nella forma, rimane però quella visione ottagonale di alluminio, che rappresenta uno dei più importanti elementi distintivi del prodotto, conosciuta internazionalmente come icona del Made in Italy. E non solo perché fa il caffè, ma proprio perché è la perfetta rappresentazione Innovativa, unica e visionaria di una linea estremamente semplice e riconoscibile. Un oggetto assoluto, in un certo senso, perché progettato senza alcuna volontà di rappresentare un’epoca, ma solo per dare la massima funzionalità. Non è un caso che vinse il Compasso d’Oro nel 1979 e che sia ancora oggi esposta nella collezione permanente del Triennale Design Museum di Milano e del MoMA di New York.

Ma se lo strumento è perfetto e semplice da usare, non tutti i caffè riescono allo stesso modo, anzi. Per scoprire come realizzare l’espresso perfetto con la nostra moka siamo andati a Torino al training center di Lavazza a trovare Andrea Mazza Food specialist & trainer, che ci ha svelato tutti i segreti di questa estrazione così tradizionale che però ha segreti che forse non conosciamo.

Il caffè in moka è emblema di tradizione, di casa, di un rito quotidiano fatto di piccoli gesti, che svelano il valore della semplicità. Una sequenza di azioni, quasi una celebrazione che vuole esaltare la bellezza di un momento così speciale come quello di preparare un buon caffè. Questo tipo di estrazione è molto amato nel mondo e trova la propria essenza nella moka, strumento emblema di questa metodologia. Fu inventata nel 1933 da Alfonso Bialetti. Un contenitore composto da tre elementi, ossia la caldaia, la valvola e il raccoglitore (la parte superiore). La valvola è una componente molto importante, un dispositivo di sicurezza atto ad evitare esplosioni qualora si manifestassero problemi. Questo perché la moka funziona a pressione, l’acqua viene inserita nella parte inferiore sino all’altezza della valvola, il filtro viene riempito con una miscela di caffè dalla macinatura medio fine e in ultimo viene chiusa. La pressione fa incanalare l’acqua nella cannuccia del filtro, passa attraverso il tampone di caffè e così avviene l’estrazione. La fiamma bassa del fuoco è alleata della buona riuscita del processo, garantendo un’estrazione giustamente lenta. Ed ecco allora la suggestione di questa profumata bevanda che viene raccolta nella parte superiore.

Per ottenere un risultato ottimale, è necessario scegliere un’acqua poco calcarea e una miscela di qualità, con una buona dose di robusta, che garantisca al caffè di avere in tazza il profilo aromatico elevato che ci si aspetta da questa estrazione. Le ottime macinature disponibili sul mercato, rendono assolutamente inutile il gesto di pressare la polvere nel filtro. Casomai, qualche piccolo colpetto di assestamento e il gioco è fatto. E per chi è amante di una bevanda dal gusto più deciso e intenso, basterà aggiungere un cucchiaino di caffè alla dose consueta utilizzata. Una volta terminata la sequenza dei preziosi gesti di preparazione, la moka è pronta per essere messa in cottura, sul fuoco. Quando ha inizio l’estrazione, è consigliabile aprire il coperchio per evitare che la condensa vada ad allungare il caffè, rendendolo acquoso. Quando il caffè fumante riempie il raccoglitore, una mescolata per garantire omogeneità ed equilibrio in ogni tazza e la magia è conclusa! Pronto per essere servito.

Una perfetta riuscita è sicuramente quella che soddisfa il palato. Il caffè della moka è corposo, con note di cioccolato e spezie, avvolgente. Non deve essere troppo intenso, ma nemmeno evanescente. Il retrogusto amaro e tostato è la caratteristica organolettica tipica di questo tipo di estrazione, tratto riconoscibile che deriva sia dalle miscele utilizzate che dalla cottura sul fuoco. Una peculiarità inconfondibile, al naso e al gusto.

Per assicurare che questa nota sia gradevole e giustamente presente, è importante spegnere il fornello non appena termina il caratteristico gorgoglio, togliendo la moka dal fuoco per non andare ad accentuare la parte amara. E dopo avere assaporato l’ottimo caffè, non ci resta che pulire la moka semplicemente con acqua tiepida e spugna, senza l’utilizzo di alcun detersivo per liberarla dagli olii rilasciati durante il processo ed assicurarci sempre un’ottima riuscita.

E qual è il caffè ideale per questo tipo di estrazione così tradizionale? Con il suo carattere distintivo, il profilo aromatico unico e l’inconfondibile packaging rosso, Qualità Rossa ha scandito le tappe della crescita e dell’evoluzione del caffè italiano negli ultimi 50 anni ed è sicuramente la risposta giusta alla scelta della moka.

Questa miscela iconica di Lavazza, dal gusto pieno e deciso, è composta prevalentemente da arabiche del Sud America e robuste Africane e del Sud Est Asiatico. L’utilizzo delle robuste Africane dona alla miscela l’inconfondibile nota di cacao e l’uso di quelle Asiatiche le note di frutta secca. Le arabiche del Sud America caratterizzano invece la miscela con aromi di cioccolato e le danno quella rotondità inconfondibile della tazza di Qualità Rossa. La tostatura medio chiara del prodotto lo rende perfetto per l’estrazione in moka, per una tazzina dal gusto inconfondibile.

Un suono familiare e rassicurante, il gorgoglio del caffè che lentamente sale nella moka, una coccola che accompagna il risveglio di chi ama aprire gli occhi accompagnato dal profumo intenso che pervade l’aria e da un calore che sa di mattina. Averne scoperto i segreti e le origini rende ancor più forte il legame con questa estrazione ricca di fascino.

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