La trappola delle mancate riformeIl grande equivoco (tutto italiano) sul NextGenerationEu

Una comunità di Stati che si avvia verso una maggiore integrazione, prima o poi dovrà tornare a darsi delle regole. Le istituzioni europee vorranno verificare i contenuti delle riforme e il rispetto delle scadenze previste nei crono-programmi. Non c’è da brindare sui balconi per un indebitamento che potrebbe scappare di mano nel volger del battito di ali di una farfalla

Unsplash

Chapeau al Presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, il quale in un articolo sul ’’Corriere Economia (’’L’Italia ha tre fantasmi in casa’’) si è rivolto a una opinione pubblica – che aspetta di essere inondata da una pioggia d’oro (la nostra quota del NextGenerationEU) – col tono severo del liberto incaricato di reggere la corona aurea sul capo del condottiero vittorioso, nel giorno del suo trionfo: «Ricordati che devi morire». 

Scrive Brambilla: «Per un Paese come il nostro che finora ha cercato di risolvere tutte le situazioni di crisi facendo sempre più debito ci sono tre fantasmi all’orizzonte: la ripresa anche se modesta dell’inflazione; la probabile fine entro il 2023 della sospensione del patto di stabilità e la possibile fine entro 2 anni del Quantative Easing della BCE, sia perché – spiega – è durato troppo tempo, dal 2015; sia perché si avvicina all’obiettivo di inflazione al 2%». 

Dopo aver descritto le prospettive spettrali di un futuro prossimo, Brambilla conclude: «’Alla luce di questi dati preoccupanti stupisce che un partito chieda uno scostamento di bilancio di 20 miliardi al mese come fossero noccioline, un altro che ne chiede almeno 80 e quelli che si fanno intervistare ne chiedono tanti per famiglie, imprese, partite IVA e bisognosi». 

L’articolo ha sicuramente un merito: a commentarlo, potremmo persino scomodare il rovesciamento della prassi. Brambilla ci ricorda che quella che stiamo vivendo non è un rétourn à la normale ovvero a una politica pseudo – keynesiana della spesa, che ci riscatta, finalmente, dall’aberrazione di decenni austerità, dettata dai parametri di Maastricht e ci conduce sulla strada luminosa dello sviluppo, mortificato persino dalla regola (che qualche sciagurato ha infilato incautamente nella Costituzione per compiacere ai poteri forti) del fiscal compact che ci limita (sic!) nel varare bilanci in disavanzo. 

Invece no. È quello che stiamo vivendo un periodo eccezionale, imposto da un evento anch’esso eccezionale come la pandemia da covid-19, al cui contrasto sono state destinate risorse importanti, si è impedito a importanti settori di produrre e lavorare e ostacolata quella mobilità delle persone e delle merci che è un caposaldo della globalizzazione e del commercio internazionale. 

Una comunità di Stati che, grazie al NGEU, si avvia verso una maggiore integrazione, prima o poi dovrà tornare a darsi delle regole. Tanto più che in cambio delle risorse di cui beneficeranno, gli Stati hanno dovuto cedere sovranità all’Unione, i cui organi non erogheranno assegni a babbo morto, ma vorranno verificare i contenuti delle riforme e il rispetto delle scadenze previste nei crono-programmi. Proprio qui verrà il difficile.

In un recente saggio ’’L’Angelo sterminatore, come l’Italia ha intrappolato se stessa’’ (GLF 2021), Marco Ruffolo, racconta di ciò che potrebbe succedere nella primavera del 2022. La Commissione aveva già stanziato i 45 miliardi della prima tranche, ma «in realtà di tutta quella valanga di euro prenotati si riusciva a spendere solo una piccolissima parte». 

Tanto da indurre un noto rider di Borsa a noleggiare un elicottero per lanciare, polemicamente, banconote da 100 euro lungo via Nazionale. Nonostante le buone intenzioni e la pazienza della Commissione europea, saranno proprio le mancate riforme a lasciare il Paese prigioniero delle sue trappole. Ma la libera uscita prima o poi finirà e saranno ripristinate delle regole che, magari – come ha detto Draghi – non saranno le stesse di prima. 

Tuttavia – dopo la gestione dei PNRR – l’Europa avrà ancora più potere per pretenderne il rispetto. Ecco perché è giusto rammentare che nessun pasto è gratis. Guai a scambiare l’eccezione per la regola. 

Persino un europeista adamantino come il presidente della Repubblica, nel messaggio di Capodanno affermò che: «’Alla crisi finanziaria di un decennio or sono l’Europa rispose senza solidarietà e senza una visione chiara del proprio futuro. Gli interessi economici prevalsero. Vecchi canoni politici ed economici mostrarono tutta la loro inadeguatezza». E come contrappunto: «Ora le scelte dell’Unione europea – aggiunse Mattarella – poggiano su basi nuove. L’Italia è stata protagonista in questo cambiamento». 

Dieci anni or sono su quella finanziaria – che stava ormai esaurendosi – si innescò la crisi ben più grave degli Stati e del loro debito sovrano dopo il crack della Grecia (che venne salvata – non è stata solidarietà questa? – dall’intervento in moneta sonante dell’Unione europea, Italia compresa). Il nostro Paese aveva uno spread ben superiore a 500 punti base e piazzava i suoi titoli a tassi medi intorno al 6-7%. Non esisteva, in quei frangenti, un’alternativa alla politica del rigore (che pure consentì al nostro Paese, in quegli anni, scostamenti di bilancio per 29 miliardi). 

Di converso, non è una politica normale, da adottare stabilmente, quella intrapresa dalla BCE, prima, dalla Commissione e dal Consiglio, poi, per fronteggiare gli effetti della pandemia. La proclamazione del liberi tutti, dell’enrichez- vous, a spese delle future generazioni, non è una strategia sostenibile nel lungo termine. 

È stato chiarito fin dall’inizio della crisi che la sospensione delle regole dei trattati era una scelta obbligata da portare avanti per il tempo necessario, ma non rappresentava la NEP dell’Europa come se finalmente avesse compreso quanto fosse sbagliata ed egoista la politica del rigore e si apprestasse a ripudiarla per sempre in nome del cambiamento. 

Di solito i Paesi compiono scelte dettate dalla disperazione quando sono coinvolti in un conflitto: il primum vivere diventa la priorità. Ma il dopoguerra lascia anche i vincitori con le ossa rotte e le società in balia delle peggiori reazioni. Non c’è da brindare sui balconi per un indebitamento e un debito che potrebbero scappare di mano nel volger del battito di ali di una farfalla. Certo. È positivo che i Paesi dell’Unione abbiano reagito insieme e che cerchino di utilizzare, in maniera produttiva ed efficiente le risorse che alcuni di loro hanno messo in campo a beneficio di altri (tra cui l’Italia). Ma non era meglio quando andava peggio? Ai tempi in cui si doveva negoziare con Bruxelles il deficit consentito nella legge di bilancio per l’anno successivo?

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter