E venne il D-day, il giorno in cui non si può uscire sui balconi e gridare «la guerra è finita». Però ci siamo. L’Italia segna sul calendario le tappe della rivincita sul nemico più infido che le sia mai capitato di dover fronteggiare, e queste tappe sono la nostra Normandia, ancora c’è da combattere ma si vede la fine. Il D-day di Draghi: l’allitterazione è casuale ma i fatti parlano chiaro. Il commander-in-chief ieri dopo la riunione della Cabina di regia ha stabilito che il D-day iniziale scatterà oggi con l’entrata in vigore del decreto varato dal Consiglio dei ministri con il coprifuoco spostato dalle attuali alle 22 alle 23.
Draghi ha inoltre proposto un ulteriore allentamento: dal 7 giugno il coprifuoco potrebbe essere spostato alle 24, per poi sparire definitivamente, sempre se i dati dei contagi lo permetteranno, dal prossimo 21 giugno. Gradualmente riaprirà tutto o quasi (le discoteche no, per fortuna).
È l’ultima attuazione della linea draghiana del “rischio calcolato” esposta nella conferenza stampa del 23 aprile, quando il premier fece balenare la riapertura in base all’andamento dell’epidemia, andamento che – malgrado le autorevoli prese di posizioni contrarie di Massimo Galli («Rischio calcolato? Calcolato male» e Andrea Crisanti («Chi apre si assume la responsabilità dei morti») – si è rivelato molto buono: non per miracolo ma per l’ottimo andamento della campagna vaccinale diretta dal generale Figliuolo, messo lì da Draghi (giova ricordarlo) al posto di Arcuri, una delle mosse vincenti più importanti di tutta questa guerra allucinante.
La linea del premier dunque è stata premiata dai fatti superando le ansie riaperturiste di Matteo Salvini e le opposte angosce super-prudenti di Roberto Speranza. È un po’ la metafora della generale situazione di governo, che vede quotidianamente fibrillare la Lega e come in un gioco di specchi il Pd creando una tensione che però alla prova dei fatti non sortisce alcun effetto politico concreto.
Semmai c’è da chiedersi perché Enrico Letta risponda puntualmente alle provocazioni del capo leghista: probabilmente per darsi una centralità sulla scena che lo identifichi come l’anti-Salvini – e in base a questa logica il segretario del Pd si candiderà alla Camera nel collegio di Siena – nell’idea di una disfida bipolare alle elezioni, quando sarà.
Mentre sempre nel Pd – notizia a latere – sta per nascere una nuova corrente, “Prossima”, guidata da Nicola Oddati e Valentina Cuppi, due esponenti vicinissimi a Nicola Zingaretti: per dire di come ciascuno stia organizzando le truppe.
A proposito di Salvini, invece, malgrado la prevedibile campagna propagandistica che lo porterà a intestarsi il merito dell’accorciamento progressivo del coprifuoco, è chiaro che non è riuscito a modificare di un centimetro quelle che erano, e sono, le decisioni di Draghi.
Se le cose dovessero proseguire per il verso giusto, e a meno di una una follia collettiva degli italiani, l’Italia si avvia dunque a diventare progressivamente “bianca”, il che vuol dire che si tornerà a come eravamo, solo con mascherine e distanze di sicurezza (dal 1 giugno Friuli Venezia Giulia, Molise e Sardegna in zona bianca. Dal 7 giugno anche Abruzzo, Veneto e Liguria).
Andiamo dunque verso un’estate che non dovrà essere di follia ma di attento ritorno alla normalità perduta. Nei prossimi giorni il governo varerà poi il decreto da 40 miliardi, un’iniezione di liquidità notevolissima per far riprendere attività produttive strategiche e ristorare meglio chi ne ha diritto. Se tutto funziona, il Paese respirerà.