Fra le commedie di Luigi Pirandello, “Così è (se vi pare)” è la più “pirandelliana” di tutte, nel senso che sintetizza tutta la filosofia del drammaturgo agrigentino. Ed è un’opera tra le più perfette del teatro italiano. Rivedendola per l’ennesima volta, l’altra sera, grazie alla meritoria Rai5 – in una edizione buona (la compagnia di Filippo Dini, con la grande Maria Paiato), ma inevitabilmente lontana da quella degli anni Settanta dei “Giovani” – spontaneamente sono venuti paragoni e affinità con la situazione italiana, dominata, proprio come nella vita di provincia che fa da sfondo alla commedia, persino da una vena comica, pur nel dramma della vicenda.
In “Così è (se vi pare)” i personaggi minori che rappresentano la borghesia di provincia si arrovellano in modo grottesco sul quesito centrale dell’opera: è pazza la signora Frola o è pazzo il genero di lei, il signor Ponza? La donna rinchiusa tra quattro mura è la figlia della signora Frola o la seconda moglie del signor Ponza? Ma, com’è noto, l’enigma non verrà sciolto da questo personaggio femminile, che alla fine della rappresentazione dice: «Io sono colei che mi si crede e, per me, nessuno…».
La commedia si fonda appunto sulla impossibilità di conoscere la Verità, che è poi il compito sostenuto dal raisonneur, il personaggio Laudisi, il quale non fa altro che smontare le tesi degli uni e degli altri: e ugualmente, noi, qui, nell’Italia della quasi post-pandemia ci troviamo imbozzolati nei dubbi di una realtà ambigua; e rivediamo nei giornali pagine e pagine dedicate alla politica interna, agli ultimatum di questo, ai giochetti di quello, alle tattiche di tutti contro tutti. Già, man mano che si allenta la tensione sulla guerra anti-Covid perché ne intravediamo l’esito vittorioso, ecco che cresce “la tensione politica”, come dicono i giornali, le guerre di posizione a caccia del consenso a breve o talvolta anche – diamo a Cesare quel che è di Cesare – di una strategia di medio periodo (del lungo periodo la politica ha da tempo perso le tracce). Però, con il nuovo agitarsi dei partiti, aumentano anche le legittime domande.
Che cosa sta succedendo, per esempio, a destra? A chi si deve credere, al Salvini di governo che si autodefinisce super-draghiano o al Salvini di lotta che afferma che Mario Draghi non deve fare le riforme? Crediamo alla Giorgia Meloni che – ieri da Lucia Annunziata – ha posto la sua candidatura a presidente del Consiglio o alla Giorgia Meloni che, per le sue caratteristiche umane e politiche, altro non desidera che fare la leader d’opposizione? E Forza Italia: è quella efficientissima al governo con le sue ministre e ministri o quella pronta ad allearsi domani con Fratelli d’Italia, partito che di quel governo è nemico?
Oppure, che si deve pensare di un Matteo Renzi eternamente sospeso fra manovra politica e avventura personale? Per non parlare di quello che succede o non succede nel Partito democratico (vicenda romana a parte, lì siamo alla pochade) dove Enrico Letta nello stesso giorno, venerdì scorso, ha ridimensionato l’alleanza con il M5s e annunciato che con il M5s si andrà insieme alle elezioni. E Giuseppe Conte, infine, questo personaggio in cerca d’autore (sempre Pirandello) che non ha ancora chiarito fino a che punto intenda sopportare i diktat di Davide Casaleggio e soprattutto quale piattaforma politica proponga al Paese un politico soi disant “nuovo”, il cui curriculum ha assunto il pirandellismo politico al massimo grado, l’aver guidato senza battere ciglio due governi di segno diverso.
La Repubblica delle ambiguità si esalta, come sempre, quando parte la lunga corsa al Quirinale, spesso (non sempre) inarrivabile ribalta per intrecci teatrali di alto livello, omicidi (politici) compresi come nelle tragedie shakespeariane e nelle trame goldoniane con tanto di servitori infedeli ed equivoci dell’ultimo minuto: e già ora si giochicchia a costruire il copione senza alcun costrutto. Il che moltiplica l’ambiguità di una situazione in cui ciascun partito osserva le mosse degli altri, con il piccolo particolare che qui c’è un’Italia che è in una situazione migliore di ieri, ma pur sempre drammatica, e che è ansiosa di capire che futuro l’aspetta.
Nella commedia della politica c’è anche qui un Laudisi, un personaggio che resta fuori dalle tifoserie che si sgambettano a vicenda e nascondono la mano dopo aver tirato il sasso quotidiano, e si chiama Mario Draghi: imperturbabile macina il suo lavoro indipendentemente dai finti diktat di Matteo Salvini che ogni volta viene “dribblato” dal premier (come sulla questione della riapertura, sulla quale alla fine ha prevalso il “ragionevole rischio” draghiano) e dalle ubbìe di vario tipo che si consumano al Nazareno.
Ecco dunque che il punto di riferimento fortissimo per gli italiani sta a Palazzo Chigi ed è per questo che le signore Frola e i signor Ponza che siedono in Parlamento sono più o meno tutti a disagio: e forse sono pazzi le une e gli altri a voler forzare la mano del premier, cui basta applicare il suo programma per mettere tutti nel sacco.