Il governo comincia a guardare oltre lo sblocco dei licenziamenti del 30 giugno, preparando il terreno per l’attesa riforma delle politiche attive e della formazione. Un tesoretto di quasi 9 miliardi, tra risorse nazionali ed europee del Recovery Plan, sarà destinato – secondo quanto riporta Repubblica – alla riqualificazione professionale di 3 milioni di lavoratori entro il 2025, di cui il 75% donne, under 30, disoccupati di lunga durata e disabili. In pratica, le categorie più fragili e che più hanno sofferto l’impatto della crisi Covid.
I numeri sono contenuti in un documento che il ministro del Lavoro Andrea Orlando porterà in discussione con le Regioni per impostare la riforma delle politiche attive, da varare entro l’anno e sempre più urgente per superare la disoccupazione crescente e favorire la ricollocazione occupazionale dei lavoratori dai settori in crisi a quelli in crescita. D’altronde, è lo stesso Draghi a ripetere in ogni occasione l’urgenza di lavorare sulle politiche attive in concomitanza con lo sblocco dei licenziamenti. Lo ha fatto non a caso anche nelle ultime comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo.
Il documento preparato da Orlando sarà presentato alle Regioni, che hanno competenza concorrente con lo Stato sulle politiche attive ed esclusiva sulla formazione, in un incontro al momento programmato per il 7 luglio.
Il fulcro del progetto è la Gol, la Garanzia per l’occupabilità dei lavoratori, ideata dall’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, finanziata con 233 milioni nella scorsa legge di bilancio, confermata nel Recovery, e citata come «perno dell’azione di riforma delle politiche del lavoro» insieme al Piano strategico nazionale per le nuove competenze (Pnc), anche questo già finanziato dal governo Conte bis con 430 milioni per quest’anno e rifinanziato dal Recovery. Queste due misure assorbono 6,7 miliardi delle risorse disponibili, mentre 600 milioni vanno al sistema duale scuola-lavoro per coinvolgere altri 135 mila ragazzi entro il 2025.
Poi ci sono da mettere a posto i 552 centri per l’impiego, destinatari di 1,5 miliardi: 1 miliardo ancora non speso per la rigenerazione infrastrutturale stanziati dal governo gialloverde e quasi mezzo miliardo all’anno – anche questi disponibili dal 2019 – per oltre 11mila nuove assunzioni, in modo da passare dagli 8mila operatori attuali a quasi 20mila.
I concorsi regionali però vanno a rilento. Le Regioni sono «in ritardo», ribadisce il documento, che punta ora sulla «diffusione capillare» sul territorio di quelli che un tempo si chiamavano uffici di collocamento. Si suggerisce di aprire «nuovi sedi, strutture leggere mobili, sportelli», ma anche di incrementare i «servizi digitali».
Resta il nodo delle «differenziazioni territoriali» nelle politiche per riqualificare chi è senza lavoro: saranno possibili – dice il documento – ma solo «nella cornice nazionale». Niente sovrapposizioni e complicazioni amministrative, pena il commissariamento. Andranno rivisti i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, previsti dal Jobs Act del 2015. La raccomandazione è di «concentrarsi su pochi livelli», perché tutti i «beneficiari di prestazioni di sostegno al reddito» ricevano «entro quattro mesi» in ogni regione, da Nord a Sud, un livello minimo di servizi, con un piano personalizzato di riqualificazione o di istruzione e l’avvio all’inserimento lavorativo.
Il coordinamento nazionale sarà affidato all’Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal), da poco commissariata con la cacciata di Mimmo Parisi e l’arrivo di Raffaele Tangorra. E che ora però è stata anche svuotata della sua funzione principale, con la nuova direzione generale delle politiche attive che ha traslocato all’interno del ministero del Lavoro e che gestirà anche i fondi europei.