Si dice spesso che le cose non esistano fino a quando non hanno un nome. Il 1842, per esempio, è l’anno nel quale i consumatori inglesi ottengono un termine per ordinare al pub una nuova tipologia di birra un po’ più amara di quella a cui erano abituati fino a quel momento. Infatti, negli stessi dodici mesi in cui Adolphe Sax costruiva il primo sassofono, Alessandro Manzoni terminava I Promessi Sposi e, per restare alla birra, Joseph Groll brassava la prima pils, sulle pagine del The Times compariva la pubblicità di una bitter beer prodotta qualche miglio a nord di Londra.
La Australian pale ale del birrificio Ashby’s non è certamente la prima bitter della storia inglese, ma è senza dubbio la prima a essere identificata in questo modo. Ed è un fatto significativo perché per i bevitori di sua maestà avere a disposizione una birra sfacciatamente amara era una bella novità. Per diversi secoli le birre nel Regno Unito erano organizzate in un sistema binario dove da una parte c’erano le ale, scure, caramellose, piuttosto dolci e senza luppolo; dall’altra le beer (proprio così, beer): ambrate, anch’esse segnate da morbide note tostate più o meno evidenti, ma luppolate e quindi leggermente più amare. Una distinzione che oggi ci può suonare non così evidente, ma diciamocelo senza troppi giri di parole, sulla capacità dei britannici di confonderci le idee con i nomi attribuiti alle loro produzioni brassicole, ci sarebbe materiale sufficiente per farci un libro.
La birra in questione, per esempio, e sempre per restare in tema di confusione, pur essendo definita bitter è, nei fatti, una pale ale e quale sia la differenza tra queste denominazioni è ancora oggi tema di accesissimi dibattiti da pub. Noi limitiamoci al dato: a partire dal 1842 quello che diventerà uno degli stili più rappresentativi della scena birraria inglese ha un nome, che si identifica totalmente con la sua caratteristica principale, cioè il suo essere amara, bitter appunto.
Secondo il noto beer writer Adrian Tierney-Jones: «Come la testardaggine, le Spice Girls e il fish & chips [la bitter] è percepita come una cosa prettamente inglese»[1].
Si tratta di una birra ambrata – può andare da toni dorati fino a un profondo color mogano – e quasi senza schiuma anche per via di una gasatura minima, di bassa gradazione alcolica e dal corpo estremamente esile, watery (acquoso) se volessimo utilizzare il termine tecnico. In bocca ha note di biscotto, caramello, più o meno intenso a seconda del colore, frutta gialla e una vena amara, sottile eppure profonda e ben percepibile. Ad apportarla sono i luppoli coltivati nel centro-sud dell’isola a partire dal Sedicesimo secolo. Fuggle, East Kent Golding, Target, Bramling Cross sono solo alcune delle varietà che crescono nei luppoleti di Herefordshire, Worchestershire, Surrey, Sussex e Kent. Si tratta di varietà non particolarmente aromatiche, a causa di una scarsa presenza di mircene, facilmente distinguibili per le particolari note di foglie secche, fungo, sottobosco e terra umida. Un corredo odoroso unico, ma piuttosto comune in questo stile, che presenta innumerevoli varianti territoriali e alcune versioni più potenti sotto il profilo alcolico e che vengono normalmente identificate dalla presenza dei termini Special o Extra Special.
Non esiste modo migliore per bere una bitter che non sia sedersi al bancone di un pub inglese e ordinarne una pinta, a temperatura di cantina, spillata da una pompa meccanica – tra le teorie sulla differenza tra bitter e pale ale una riguarda proprio il fatto che si tratti della stessa bevanda nel primo caso servita da un cask e nel secondo da una bottiglia. Grazie a un elevatissimo numero di birrai nostrani appassionati a questo stile dal fascino un po’ fané, le bitter sono spesso presenti anche nella gamma dei birrifici italiani con risultati che nulla hanno da invidiare all’originale. Uno dei casi più brillanti è la Nevermind the bitter di Lorenzo Serroni, birraio del The Lure di Fogliano Redipuglia, in Friuli Venezia Giulia. Nel suo brewpub, aperto nel 2016, Lorenzo propone una gamma per lo più di ispirazione British che ha in questa bitter una delle punte di diamante. Luppolatura classica con Target in amaro, Fuggle e East Kent Golding in aroma, corpo leggerissimo e una solida base biscottata sono le premesse di questa bitter scorrevole e da bere a grandi sorsi, disponibile oltre che alle spine del pub collegato al birrificio anche in lattina.
[1] Tierney-Jones Adrian, La bitter in Il piacere della birra, Slow Food Editore