Economia circolareCome rendere sostenibile la produzione e il consumo di cibo

Francio Fassio e Nadia Tecco raccontano nel loro libro come il sapere e le tradizioni della civiltà contadina, in cui tutto veniva riutilizzato, potrebbero favorire la presa di coscienza delle dinamiche e delle relazioni culturali sottese all’atto del mangiare

Pixabay

Il sistema di produzione e consumo alimentare è forse il settore che con più evidenza mostra gli impatti e le contraddizioni del modello lineare sui meccanismi che regolano lo stato di salute dei sistemi naturali e sociali.

La produzione di cibo ha contribuito al superamento di 4 delle 9 soglie che determinano i limiti planetari. Cambiamento climatico, perdita della biodiversità, alterazioni al ciclo dell’azoto e del fosforo, cambiamento nell’utilizzo del suolo sono rispettivamente connessi a un’agricoltura che: produce circa 1/3 di tutte le emissioni di gas serra10 (IPCC, 2014; Tubiello, et al., 2014); consuma più di altri acqua,11 suolo (Amundson, et al., 2015), fosforo, azoto; utilizza tra il 10 e il 30% del totale dell’energia consumata nei paesi industrializzati (Pimentel, Pimentel, 2008; Cuéllar, Webber, 2010); contribuisce pesantemente all’inquinamento da sostanze chimiche.

Un modello che segue i dettami di un’agricoltura industriale omologante, basato su produzioni intensive, su monoculture e sull’uso sconsiderato di concimi e fertilizzanti di sintesi con un utilizzo sproporzionato di risorse per la produzione di alimenti umani. Basti pensare che a fronte del 35% di superficie del pianeta utilizzabile per fini agricoli (FAO, 2015), la produzione di proteine animali – che rappresenta il 17% delle calorie consumate dagli esseri umani a livello globale – utilizza 1/3 delle terre coltivate, equivalenti a 1,5 miliardi di ettari (FAO, 2015).

L’esito di questa forte pressione sugli habitat naturali e del sovrasfruttamento di alcune specie (Godfray, et al., 2010; Rockström, et al., 2009a) ha generato un’impressionante erosione dell’agrobiodiversità: secondo la FAO il 75% delle varietà delle colture agrarie sono già andate perdute con forti ripercussioni sulla varietà delle diete alimentari in tutto il mondo. Su circa 30.000 specie commestibili presenti in natura, le colture alimentari che, da sole, soddisfano il 95% del fabbisogno energetico mondiale, sono appena 30 (Pilling, Hoffmann, 2011; FAO 1999). Tra queste, frumento, riso e mais forniscono più del 60% delle calorie consumate (FAO, 1999).

La perdita di agrobiodiversità rende l’ecosistema meno capace di adattarsi al cambiamento: oltre alla valenza ambientale, la perdita di adattamento pone quindi conseguenze visibili anche sul piano economico (Perrings, 2010). L’eccesso continua a essere una costante anche sul fronte della generazione di rifiuti alimentari, dove ogni anno, 1 miliardo e 300 milioni di tonnellate di cibo destinato all’uomo diventano scarti (FAO, 2011), per un totale pari a circa 8.600 navi da crociera (Slow Food, 2012).

Si tratta di 1/3 di quello che produciamo e che è uguale a 4 volte la quantità necessaria a nutrire i 795 milioni di persone che oggi soffrono la fame (BCFN, 2016). In Italia stiamo sprecando circa 20 milioni di tonnellate di cibo ogni anno (Segrè, Falasconi, 2011), e una famiglia di ceto medio, composta da tre persone, sperpera circa 454 euro all’anno acquistando cibo, in primis prodotti freschi, pane, frutta e verdura, prodotti in busta e affettati, che poi non mangerà (BCFN, 2016).

La distribuzione degli sprechi e delle perdite alimentari caratterizza l’intera filiera produttiva. Complessivamente le perdite ammontano al 32% durante la produzione agricola, al 22% nelle fasi immediatamente successive alla raccolta, all’11% durante la trasformazione industriale, al 13% nella fase di distribuzione e infine al 22% a livello domestico o nei canali della ristorazione (FAO, 2013).

Complessivamente, il 56% di queste perdite avviene nei paesi sviluppati, e il 44% in quelli in via di sviluppo (WRI, 2013). Nei paesi occidentali, a livello del consumatore, lo spreco pro capite è maggiore del peso medio di una persona in età adulta (peso medio 65/80 chilogrammi), e si attesta a circa 95/115 chilogrammi, mentre nell’Africa sub-sahariana e nel Sud-Est asiatico tale valore è di circa 6-11 kg/anno (FAO, 2011).

Per ogni europeo, per esempio, si producono all’incirca 840 chilogrammi di cibo l’anno: 560 vengono mangiati, poco meno di 200 sono sprecati lungo la filiera produttiva mentre 95 circa sono acquistati per poi finire in pattumiera (Slow Food, 2012). Il comparto del fresco, e in particolare la frutta e la verdura, mostrano le criticità maggiori: in Italia, sappiamo che circa il 3,2% della produzione rimane nei campi per cause commerciali (prodotti fuori misura), di mercato (costi di raccolta e del personale) o semplicemente di estetica (prodotti non belli da vedere). Un altro 3,8% sono gli scarti imputabili ai processi industriali e ai prodotti che marciscono nei centri di stoccaggio.

Dopodiché, circa il 30% dei prodotti che si salvano sono sprecati nella fase di distribuzione e vendita, e infine circa il 27%, ognuno di noi, chi più chi meno, lo spreca a casa (European Commission, 2010). Se guardiamo all’insieme della composizione della dieta alimentare si può osservare come a livello globale si sprechino circa il 30% dei cereali, il 20% dei prodotti lattiero-caseari, il 30% del pesce, il 45% della frutta e della verdura, il 20% della carne, il 20% dei semi oleaginosi e delle leguminose, il 45% delle radici e dei tuberi (FAO, 2011).

In termini d’impatto ambientale tutto ciò equivale a sprecare ogni anno circa 250.000 miliardi di litri d’acqua (un quantitativo sufficiente per soddisfare per 120 anni i consumi domestici di una città come New York), 1,4 miliardi di ettari di superficie agricola (circa il 30% dalla Sau – Superficie agricola utilizzata – a livello globale), e nel contempo a immettere in atmosfera, senza alcun benefit, circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2eq.

Franco Fassio e Nadia Tecco, Circular Economy for Food. Materia, energia e conoscenza, in circolo, Edizione Ambiente, 2018, pagine 240, euro 24

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