La mamma di Dino Massignani era una mondina: Dino ha poco più di 50 anni, ma il passato che racconta suona strano per i cittadini, eppure è parte della sua vita e della sua esperienza, una parte lui che racconta con orgoglio e partecipazione.
Fare la mondina in provincia di Novara significava avere il bagno all’aperto, significava cucinare brodo di rane quando non c’era altro da mettere in tavola. Significava essere sempre parte del processo circolare che la natura impone.
Il primo contatto con il mondo industriale è arrivato con le scatolette di tonno: sembrava una grande rivoluzione ai contadini che potevano avere un cibo economico e diverso, da mangiare a metà mattina, quando per loro era già passata più di mezza giornata di lavoro.
Abituati a gettare gli avanzi nel mucchio dei rifiuti che fino ad allora erano solo organici e servivano per concimare i campi, iniziarono a buttare anche le lattine di tonno lì in mezzo, senza alcuna percezione del pericolo che potevano rappresentare.
Ne fecero le spese le mondine, a piedi nudi nei campi iniziarono a tagliarsi con le latte, e qualcosa nel perfetto ecosistema della sostenibilità si ruppe. Dovevano fasciarsi i piedi per non farsi del male, e man mano le cose cambiarono.
Oggi, per fortuna, nella privilegiata oasi di San Massimo, riserva naturale garantita dal massimo grado di protezione europea possibile, il Sic zts, a piedi nudi nelle risaie ci vanno i manager e i curiosi, che in questo intatto equilibrio naturale possono godersi, proprio grazie a Dino e alla sua squadra, un luogo incontaminato e autosufficiente.
Perché l’esperienza della mamma non è passata invano e questo grande uomo con modi determinati e occhi malinconici ha un’unica missione nella vita: preservare quella natura che gli ha dato i natali, che l’ha formato, e che gli ha permesso di cogliere da una macchia nel fogliame un cerbiatto che ha bisogno di assistenza, da un tronco caduto una necessità della natura, fino al giusto flusso di acqua che serve per permettere alle fragili piantine di riso di crescere rigogliose. O i trucchi per evitare che i tantissimi volatili che frequentano la tenuta rubino semi e riso, ma comunque possano essere nutriti e in salute, e ripopolino anno dopo anno questi luoghi.
Siamo a pochi chilometri da Milano, in provincia di Pavia, eppure sembra di essere in mezzo alla savana: edere millenarie e piante acquatiche, risorgive e alberi centenari si alternano a campi coltivati e alberi da frutto, in un perfetto scambio delle parti, per questa ex riserva di caccia trasformata dalla famiglia Antonello nel suo angolo di natura.
Qui Dino cura il riso e la terra, gli animali e il bosco, e fa tutto con la stessa passione con cui la proprietà si occupa di sostenere il suo lavoro, e di preservare una biodiversità da manuale.
Quando arrivano le cicogne sembra davvero di essere nel paradiso terrestre, in un non luogo dove il mondo appare lontano e la sostenibilità tanto agognata e promossa sembra non solo possibile ma reale.
Ogni scatola di riso, così ben confezionata con le illustrazioni che ci riportano al territorio nel quale i chicchi nascono, porta con sé tutta la cura e la tensione emotiva che l’esperienza in riserva regala.
Riuscire a replicarla nel piatto dipende solo dalla nostra abilità: ma la tela su cui lavoreremo, fatta di chicchi e di storia, è tessuta alla perfezione per aiutarci.
Ad ogni boccone pensare alle mondine, a Dino e a questo verde lussureggiante e selvaggio, eppure così accogliente, è il vero premio per il loro incessante e puntuale lavoro.
Reportage fotografico di Gaia Menchicchi