«È una domanda importante, domani (oggi per chi legge, ndr) sono in Parlamento tutto il giorno, mi aspetto che me lo chiedano e risponderò in maniera più strutturata di oggi». La domanda è quella sull’intervento del Vaticano in merito al ddl Zan contro l’omotransfobia, arrivata durante la conferenza stampa convocata insieme alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per la promozione del Recovery Plan italiano.
La comunicazione da parte del segretario di Stato della Santa Sede è arrivata per via diplomatica, ma non c’è dubbio che il premier fosse già stato informato informalmente sul disagio del Vaticano per la possibile approvazione della legge – scrive il Corriere. Numerose fonti di governo lo confermano al quotidiano, spiegando come sia «impensabile che il Vaticano abbia formalizzato una posizione così netta senza alcuna avvisaglia precedente. Il tema viene valutato con grande attenzione».
E oggi Mario Draghi, in Parlamento per le comunicazioni di rito in vista del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno, dirà che «dovranno essere valutati gli aspetti segnalati da uno Stato con cui abbiamo rapporti diplomatici». Un modo per rispondere alle sollecitazioni vaticane in attesa di trovare una soluzione che non appare facile. Il disegno di legge Zan è infatti già stato approvato dalla Camera e ora è all’esame del Senato. E l’esecutivo dovrà scegliere la strada per inserirsi nel percorso parlamentare senza «interferire».
Ma sono diversi i quesiti da chiarire, come spiega Repubblica. Come mai, se il segretario di Stato Gallagher ha consegnato un documento di tale rilevanza giovedì 17 giugno, il premier non è stato informato subito? Se è vero che l’ambasciatore italiano presso la Santa sede ha inoltrato nell’arco di qualche ora la nota verbale sia alla Farnesina sia alla Presidenza del consiglio, perché i funzionari che l’hanno ricevuta non si sono mossi in tempi rapidi e hanno lasciato trascorrere un intero week end?
Pretende risposte, Draghi. Oggi si presenterà alle Camere e non intende farsi trovare impreparato. Intanto avrebbe già contattato i partiti di maggioranza affinché trovino un compromesso che gli consenta di mandare un segnale al Vaticano. Tre i punti essenziali che verranno esposti in Aula. Innanzitutto il premier prenderà le difese del Parlamento e delle sue prerogative, ovvero esercitare le funzioni legislative, come è stato fatto con il ddl Zan. Quindi spiegherà che sono in fase di approfondimento le questioni giuridiche sollevate dalla Segreteria di Stato, secondo cui alcuni commi della proposta ridurrebbero la libertà garantita alla Chiesa dal Concordato. Infine, farà quadrato intorno ai Patti Lateranensi, sottoscritti nel 1929 (e sottoposti a revisione nell’84) per regolare i rapporti tra Italia e Santa Sede, poi recepiti in Costituzione. Un passaggio necessario per zittire quanti, in queste ore, chiedono di stracciarli, denunciando l’ingerenza di uno Stato estero negli affari interni di un altro Paese. Il nostro, nella sua sovranità, li ha infatti inseriti nella Costituzione, dunque non può configurarsi alcuna intrusione.
Resteranno tuttavia fuori, inespressi, i sospetti destati da una mossa tanto eclatante. Alcune stranezze non sono passate inosservate. Il Concordato affida difatti alla Cei il compito di rappresentare la Chiesa presso lo Stato italiano: perché allora, a consegnare la nota verbale, è stato uno dei massimi esponenti della Segreteria di Stato? Cosa sta succedendo? Non sarà in corso un conflitto fra alti prelati, di cui l’esecutivo sta facendo le spese? E chi avrebbe interesse ad agitarlo?
È sempre Repubblica a spiegare che la nota consegnata all’Italia ha irritato l’ala bergogliana della Santa Sede. E che dietro questa mossa ci sarebbero le pressioni della Cei, che vorrebbe esentare le scuole cattoliche dalla giornata anti-discriminazione.