Bye bye GiorgiaUna piccola mossa per Salvini, una grande occasione per l’Italia

L’unificazione con Forza Italia potrebbe significare l’addio al sovranismo. Invece di gridare allo scandalo, i liberaldemocratici sfidino la Lega su una legge proporzionale che consolidi la spinta centripeta del governo Draghi, forse la nostra ultima occasione di evitare la deriva ungherese

Photo by Reid Zura on Unsplash
Ci sono mille ragioni per diffidare di Matteo Salvini, la prima delle quali è, evidentemente, Matteo Salvini. Ma la politica è arte combinatoria, che consiste nel fare il possibile con il disponibile, e pertanto richiede per prima cosa di non fossilizzarsi sui propri pregiudizi, nemmeno quando fondati su solidissimi e ben meditati giudizi.
Sulla carta, il fatto che la Lega proponga una sorta di unificazione con Forza Italia, mentre sono insieme al governo con Mario Draghi, significa che il principale partito del centrodestra conferma e in qualche misura tenta di rendere persino strutturale la sua svolta – quasi, semi, para: metteteci pure il prefisso cautelare che preferite – liberale e centrista.  Come si evince anche dall’insistenza con cui Salvini ripete di voler perseguire questa strada «in Italia e in Europa».
Sulla carta, certo. Perché nella realtà, che come noto è sempre più complicata della teoria, ci sono ovviamente moltissime ragioni di scetticismo intorno alle reali intenzioni e allo sbocco effettivo di tale svolta quasi-semi-para-liberale e centrista della Lega di Salvini (la prima delle quali l’abbiamo già detta).
Resta il fatto che la Lega, invece di uscire dal governo per fondersi magari con Fratelli d’Italia su una linea nazional-populista, al governo ci rimane e la fusione – coordinamento, federazione, alleanza con benefit: è il pensiero che conta – la propone a Forza Italia. Vale a dire a quello che oggi, all’interno della coalizione di centrodestra, è il partito che si è più spinto in direzione opposta, cioè europeista e liberale, anziché sovranista e populista. Non è poco.
E non è poco nemmeno che lo strumento con cui Salvini ha tentato di produrre la crisi di governo e le elezioni anticipate sia stata la candidatura di Mario Draghi al Quirinale. Anche chi ritiene fondamentale che Draghi resti a Palazzo Chigi fino al termine della legislatura, e personalmente sono tra questi, non può comunque non riconoscere un gigantesco progresso, se oggi la principale minaccia del fronte (ex?) sovranista e no euro alla stabilità dell’Italia è mandare al Quirinale l’ex presidente della Bce.
Per chi abbia a cuore la tenuta del nostro periclitante assetto liberaldemocratico – la divisione dei poteri, lo Stato di diritto, queste cose qui – una simile evoluzione della Lega e del suo leader non può non essere accolta anzitutto con un grido di giubilo. Stiamo parlando infatti dell’uomo che appena due anni fa, grazie all’accordo con il Movimento 5 stelle e alla piena connivenza di Giuseppe Conte, poteva fare inquietanti comizi xenofobi in divisa da poliziotto dal Ministero dell’Interno, minacciare di portarci fuori dall’euro e fare la guerra alle ong per impedire ai soccorritori di salvare vite in mare.
Se ora, nella peggiore delle ipotesi, riuscisse a destabilizzare il governo mandando al Quirinale Mario Draghi, se permettete, come progetto eversivo sarebbe comunque assai preferibile al tentativo di mettere sotto accusa il capo dello Stato in carica attraverso una mobilitazione di piazza, con l’accusa di avere impedito di mettere al Ministero dell’Economia il principale punto di riferimento dei sostenitori dell’uscita dall’euro.
Come dite? Che quelli non erano mica i leghisti, ma i cinquestelle, attuali corteggiatissimi alleati del Partito democratico? Giusta osservazione.
Del resto, sono stati ancora loro, i cinquestelle, i principali promotori del taglio lineare dei parlamentari, che minaccia di trasformare le prossime elezioni politiche in una specie di roulette russa, con un vincitore in grado di fare cappotto, portandosi a casa tutte le autorità di garanzia e di controllo, e magari anche la possibilità di riscriversi la Costituzione a piacimento.
Dunque, se si vuole sfidare Salvini a dimostrare la serietà e la reale portata della sua operazione, quale migliore occasione di questa per rilanciare la proposta di una legge elettorale proporzionale, che ponga in salvo l’equilibrio e la divisione dei poteri? Legge elettorale che, tra l’altro, metterebbe finalmente un freno al processo di progressiva, isterica e inconcludente radicalizzazione del nostro sistema politico, assecondando la spinta centripeta del governo Draghi, che è forse la nostra ultima occasione di evitare la deriva illiberale sul modello ungherese. Una deriva su cui Salvini, lo sappiamo, ha scommesso tutto – e perso, per fortuna – meno di due anni fa, e su cui continua a fare evidentemente più di un pensiero, insidiato anche su questo terreno dalla concorrenza di Giorgia Meloni. Che potrebbe esserne però la principale, se non unica, beneficiaria.
Invece di gridare allo scandalo e fare barricate contro l’annessione di Forza Italia da parte della Lega, il fronte liberaldemocratico dovrebbe dunque preoccuparsi di incoraggiare, indirizzare e sorvegliare, con tutte le cautele e le diffidenze del caso, un’evoluzione del sistema politico da cui, oltre a Salvini e alla destra italiana nel suo complesso, è la democrazia italiana ad avere tutto da guadagnare.