Il predellino tristeLa federazione con la Lega è il vero passo d’addio di Berlusconi

Il Cavaliere ha proposto di fondere Forza Italia con il Carroccio come se fossimo ai tempi del bipolarismo e del Popolo delle libertà. Non è più così, l’ex presidente del Consiglio è poco influente e questa mossa avvantaggia Salvini, preoccupatissimo dall’ascesa di Giorgia Meloni

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Quando era padrone d’Italia la cosa aveva un senso. Oggi il “predellino triste” di Silvio Berlusconi rischia di essere il passo d’addio di una vecchia star all’inseguimento della immortalità politica. Di qui l’intima cupezza della scena di un anziano leader che ancora sogna i fasti del passato come Gloria Swanson nel gotico finale di Viale del tramonto – titolo congruente – ove tutto è finto tranne la realtà del tempo che passa. Ma è il solito Cavaliere, il grande impresario di se stesso, quello che alla fine si mette là dove si vince. Con quella Lega che fin dai tempi di Bossi, malgrado alti e bassi, in fondo è il suo mondo. Altro che la Garbatella di Giorgia.

Berlusconi dunque accarezza l’idea di una federazione, o come la si vorrà chiamare, tra la sua vecchia cara Forza Italia – ormai una sorta di Isotta Fraschini della politica – e una Lega che da qualche tempo ha la tosse a causa dell’arrembante Giorgia-la-populista. Meglio metterle qualche bastone tra le ruote. L’operazione però assomiglia a una Canossa, a una richiesta di soccorso, a una preghiera a mani giunte. Ecco perché più che di Berlusconi questo sembra il “predellino di Salvini”, perché è lui quello forte. Non sono gli altri ad andare da lui, è lui ad andare dagli altri. È Salvini che si rafforza: annettendo Forza Italia impedisce una maggioranza Ursula, unico deterrente che Draghi ha per scongiurare la caduta del suo governo. Sono solo scenari.

Il contrario del predellino “vero”, qual’era la proposta di saldare la vecchia Forza Italia e Alleanza nazionale del rampante Gianfranco Fini, una mossa politicamente abile che recava il segno dell’egemonia berlusconiana non solo sulla destra ma sull’intero quadro politico, tanto che dopo pochi mesi dalla scena di piazza San Babila il Popolo delle libertà vinse le elezioni politiche contro il neonato, romantico Partito democratico veltroniano.

Che scena, quella di allora! Era una domenica sera buia, quella del 17 novembre 2007 a Milano, una manifestazione di Forza Italia abbastanza innocua, quando – tac – Silvio sale sul predellino di un’automobile e lancia la proposta: «Oggi nasce ufficialmente un nuovo grande partito del popolo delle libertà: il partito del popolo italiano. Anche Forza Italia si scioglierà in questo movimento. Invitiamo tutti a venire con noi contro i parrucconi della politica in un nuovo grande partito del popolo».

Fini non ne sapeva nulla e non era certo entusiasta di sciogliere il suo partito tanto faticosamente venuto alla luce – Alleanza nazionale – nel magma ribollente e danaroso di Forza Italia. Eppure dovette cedere. Era una proposta che non si poteva rifiutare: a quei tempi al Cavaliere non si poteva dire di no.

Anche oggi lo stesso Cavaliere capisce che bisogna rimescolare le acque. Hanno alimentato le voci di un suo disimpegno dovuto alla cattiva salute ma eccolo là pronto a studiare un modo per arginare questa Giorgia Meloni che forse si sta montando la testa mentre l’amico Salvini – quello che definiva “il nostro bomber” – rischia di finire in panchina: e dunque gli balena la necessità di dare quel poco di sangue di cui gli azzurri ancora dispongono per riequilibrare i pesi a destra.

Ma il paesaggio di oggi non è quello dello splendore del mito delle tre vittorie (1996, 2001, 2008) perché appunto sono più di dieci anni che la destra non vince e deve venire a patti in un zigzagare nel labirinto politico creato da altri, il paesaggio di oggi è triste come certi quadri impressionisti che ritraggono l’autunno in campagna. Aveva intuito qualcosa il vecchio Roberto Maroni, che sul Foglio di due giorni fa aveva colto nell’intervista del Silvio risanato al Giornale una certa insoddisfazione per come stanno andando le cose sulle amministrative (a destra, vuoto cosmico) e la necessità di tirare fuori qualche nome della società civile: «È in arrivo un nuovo predellino? Stay tuned». In effetti, è arrivato.

Ma è un predellino che all’incontrario va, perché contiene in sé una contraddizione non da poco: fondersi con la Lega senza «appiattirsi sulla Lega», come dice il Cavaliere: due affermazioni che si elidono. E che già spaccano il partito, determinando una potenziale rottura con Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, da tempo su posizioni centriste e antileghiste, che già hanno detto di no, un pasticcio azzurro che in teoria potrebbe persino produrre conseguenze sul governo, visto che le due esponenti (ma il discorso vale anche per Renato Brunetta) siedono nell’esecutivo di Mario Draghi. Adesso, cantori e detrattori, diranno tutti, e giustamente, che il Cavaliere è tornato firmando l’annessione di Forza Italia alla Lega. Ma stavolta è salito su predellino triste e solitario.