Con il voto della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, si sono ufficialmente aperte le urne per le elezioni presidenziali in Iran. Sono circa 60 milioni gli elettori che potranno esprimere la loro preferenza entro la mezzanotte iraniana (le 21.30 italiane), ma non è escluso che le operazioni possano allungarsi per altre due ore.
I risultati sono attesi nel pomeriggio di sabato. In lizza restano tre candidati, dopo il ritiro alla vigilia degli altri quattro ammessi dal Consiglio del guardiani, tutti uomini, sui quasi 600 iniziali aspiranti: l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, capo dell’apparato giudiziario, che resta il favorito; l’ex comandante dei Pasdaran, Mohsen Rezai, dello stesso schieramento; e il governatore della Banca centrale, il moderato Abdolnaser Hemmati.
L’esito del voto potrebbe avere conseguenze sulle trattative in corso a Vienna per ripristinare il trattato nucleare, dal quale gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2015 con Trump, che ha imposto sanzioni a chiunque faccia affari con Teheran. Il candidato “moderato” Abdolnaser Hemmati ha chiesto agli iraniani di recarsi alle urne e di votare per lui, evocando il rischio di nuove sanzioni e l’impennata della tensione con l’occidente.
A differenza del passato, però, la sfida appare decisa in partenza. Nessun candidato riformista è stato ammesso. E per assenza di rivali, con molta probabilità prevarrà Ebrahim Raisi, il giudice più alto in grado del Paese. Anche secondo l’ex presidente conservatore Mahmud Ahmadinejad, intervistato dal Corriere, il risultato è scontato. Neppure lui ha potuto competere nelle elezioni. «Ho chiesto che mi spiegassero il motivo, ma non hanno risposto. È una scelta politica», spiega. E anche lui, come probabilmente faranno molti iraniani, non si recherà alle urne: «Non andrò a votare. Mi sono esposto perché me l’hanno chiesto milioni di cittadini, ma ho chiarito che, in caso di squalifica, non avrei partecipato. Se qualcuno ha voglia di votare, faccia pure. Io no».
E l’accordo nucleare? «Ci sono stati negoziati per anni, è stata firmata un’intesa e, dopo poco, è diventata carta straccia», dice Ahmadinejad. «Perché? Perché non era un accordo giusto. Dobbiamo aspettare il cambiamento nel comportamento americano».