Sentenza CappatoLa raccolta firme per il referendum sull’eutanasia

“Liberi fino alla fine” è il nome della campagna che punta a indire un plebiscito sul tema del fine vita. Obiettivo è raccogliere 500mila firme entro il 30 settembre, attraverso tavoli istituiti in tutta Italia. L’associazione Luca Coscioni: «Di fronte al silenzio del Parlamento, il Referendum è l’unica possibilità»

Mauro Scrobogna /LaPresse

Almeno 500.000 firme da consegnare alla Corte di Cassazione entro il 30 settembre. Servono così tante sottoscrizioni per organizzare il referendum sull’eutanasia, un referendum abrogativo che punta ad eliminare parzialmente la norma 579 del codice penale, quella che ad oggi ancora impedisce alle persone di poter scegliere per la propria vita, e mette chi le aiuta a porvi fine a rischio di finire in carcere.

La campagna Liberi Fino alla Fine da questa settimana ha preso il via a Milano e Roma ed entro fine mese organizzerà tavoli per la raccolta firme in tutta Italia. Promossa dall’Associazione Luca Coscioni, fra i membri del comitato promotore la campagna annovera Radicali Italiani, Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, Più Europa, Possibile, Sinistra italiana, Federazione dei Verdi. Fra gli autenticatori, invece (ne servono 10mila fra avvocati, notai e rappresentanti istituzionali a più livelli), anche interi gruppi parlamentari, pure con qualche sorpresa (fra i 20 consiglieri regionali della Lombardia che si sono resi disponibili, ad esempio, c’è anche l’ex assessore Giulio Gallera, di Forza Italia). Fra gli intenti c’è anche quello di lanciare la raccolta firme online, «affinché la democrazia digitale in Italia divenga una realtà istituzionale».

Il referendum non è che l’ultimo tassello di un lungo percorso di lotta per il diritto a decidere per sé stessi e per il proprio corpo. Era il 2017, infatti, quando Marco Cappato accompagnava Dj Fabo in Svizzera a morire. Nel 2019, una sentenza della Corte Costituzionale stabiliva finalmente che «per chi soffre di malattie incurabili e dolori per lui insopportabili, se decide di morire chi lo aiuta non può essere punito», aprendo per la prima volta un fronte nuovo. Nonostante la sentenza e i numerosi progetti di legge depositati, però, il Parlamento non è mai arrivato a discutere un testo.

Obiettivo del referendum è dunque la realizzazione della cosiddetta “eutanasia attiva”, sul modello olandese o belga. In Italia, a bloccare l’introduzione dell’eutanasia legale è l’art. 579 del codice penale, che prevede «la reclusione da sei a quindici anni» per «chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui». Attraverso il quesito referendario si punta ad abrogare parzialmente la norma: se approvato, il referendum segnerebbe il passaggio «dal modello dell’”indisponibilità della vita”, sancito dal codice penale del fascismo nel 1930, al principio della “disponibilità della vita” e dell’autodeterminazione individuale, già introdotto dalla Costituzione, ma che deve essere tradotto in pratica anche per persone che non siano dipendenti da trattamenti di sostegno vitale (per i quali è invece intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza Cappato – Antoniani)», si legge nel sito della campagna.

Attualmente, nel nostro Paese l’eutanasia attiva è vietata sia nella versione diretta, «in cui il medico somministra il farmaco eutanasico alla persona che ne faccia richiesta», sia nella versione indiretta, «in cui il soggetto agente prepara il farmaco eutanasico che viene assunto in modo autonomo dalla persona, fatte salve le scriminanti procedurali introdotte dalla Consulta con la Sentenza Cappato». Le forme di eutanasia passiva, ovvero quelle in cui ci si astiene dall’intervenire per tenere in vita il paziente in preda alle sofferenze, invece, «sono già considerate penalmente lecite soprattutto quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare il cosiddetto “accanimento terapeutico”».

La realtà dei fatti, però, non è altrettanto definita. Molti casi ambigui, infatti, «creano condotte “complesse” o “miste” che non consentono spesso di distinguere con facilità se si tratti di eutanasia mediante azione od omissione e soprattutto pongono il problema di una possibile disparità di trattamento ai danni di pazienti gravi e sofferenti affetti però da patologie che non conducono di per sé alla morte per effetto della semplice interruzione delle cure», si legge ancora sul sito. «Proprio al fine di non creare discriminazioni tra tipi di malati», dunque, «emerge l’esigenza di ammettere l’eutanasia a prescindere dalle modalità della sua esecuzione concreta».

A parlare più di tutto, però, sono come sempre le storie delle persone. Come quella di Daniela, 37 anni, pugliese, affetta da una grave forma di tumore al pancreas, che avrebbe voluto poter scegliere di porre fine alle sue sofferenze ed essere «libera di morire nel migliore dei modi», ma non ha fatto in tempo ad andare in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito. Aveva contattato l’Associazione Luca Coscioni e a febbraio aveva chiesto alla Asl di Roma, dove viveva, e al relativo Comitato Etico, la verifica e l’attestazione delle condizioni necessarie per poter ricorrere al suicidio assistito. Dopo una risposta negativa aveva deciso di impugnare il diniego e, grazie alla difesa coordinata dall’avvocato Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, aveva fatto ricorso d’urgenza al Tribunale di Roma per ottenere le verifiche previste dalla sentenza Cappato. Avrebbe avuto un’udienza il 22 giugno, ma nessuno ha mai risposto alla richiesta di anticipare la decisione. Daniela è morta il 5 giugno. Due giorni dopo avrebbe dovuto avere la visita di verifica della sua condizione da parte dell’ASL di Foggia.

«È inaccettabile che chi è nelle condizioni di Daniela sia costretta a un simile calvario. I malati non possono aspettare i tempi della burocrazia», hanno dichiarato Filomena Gallo e Marco Cappato, Segretario e Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. «È sempre più evidente quanto sia urgente una legge per poter garantire la possibilità di scegliere se porre fine alle proprie sofferenze insopportabili. Di fronte al silenzio del Parlamento che continua a rimandare la riforma necessaria, il Referendum a questo punto è l’unica possibilità per rendere l’eutanasia legale in Italia».

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