Una settimana per decidere. Il premier socialdemocratico svedese Stefan Löfven ha davanti due strade: una nuova coalizione che trovi il consenso del Riksdag, il Parlamento monocamerale svedese, oppure indire nuove elezioni con un anno d’anticipo rispetto alla scadenza naturale, prevista nel 2022. Sarebbe un quasi inedito nella storia della politica a Stoccolma visto che l’ultima volta che si andò prima alle urne era il 1958, ben 63 anni fa.
Altre soluzioni non sono possibili, visto che il Parlamento ha ufficialmente sfiduciato l’esecutivo: la mozione è infatti passata con 181 voti a favore, 109 contrari e 51 astenuti. È la prima volta che un primo ministro svedese viene sfiduciato. A pesare è stato soprattutto il voto contrario del Vänsterpartiet, il Partito della Sinistra, che ha deciso di non sostenere più l’esecutivo appoggiando una mozione di sfiducia imbastita dal movimento di estrema destra dei Democratici Svedesi che ha trovato l’appoggio anche di due partiti di opposizione più centristi, i Moderati e i Cristiano-Democratici.
Il problema degli affitti
Il pomo della discordia è la questione degli affitti, che ha fatto cadere come un castello di carte una maggioranza eterogenea. «Quello che stiamo facendo oggi, non lo facciamo alla leggera. Abbiamo fatto tutto il possibile per risolvere la situazione ma nessuno ha voluto contribuire. Per questo siamo finiti qui», ha dichiarato Nooshi Dadgostar, leader del Partito della Sinistra, dopo aver dato 48 ore al governo per ritirare la sua proposta di modifica in materia di politica della casa. «Il sistema degli affitti in Svezia è centralizzato: viene negoziato dalle organizzazioni collettive, come l’Associazione Inquilini, che è come un sindacato per gli inquilini, e dal proprietario dell’immobile. Le regole prevedono che venga fissato in base ai valori generali degli inquilini, come se il mercato fosse in equilibrio. Affitto uguale per appartamento uguale, cioè l’affitto è lo stesso indipendentemente da chi ci abita. Dimensioni, numero di stanze, planimetria, standard e posizione definiscono l’affitto, perché appartamenti più piccoli prevedono un affitto inferiore rispetto a un appartamento più grande», spiega a Linkiesta Martin Hofverberg, capo economista di Hyresgästföreningen, l’associazione svedese degli inquilini che si occupa delle contrattazioni.
La proposta dell’esecutivo difatti stravolgerebbe tutto questo. «Quanto chiesto dal governo Löfven è una violazione del modello svedese nel sistema degli affitti in quanto prevederebbe l’abolizione del diritto di contrattazione collettiva degli inquilini, a favore di accordi individuali. Questo pregiudicherebbe la protezione dei consumatori e porterebbe ad affitti più elevati e a una maggiore incertezza di anno in anno», sostiene Hofverberg. Non mancano però le ragioni per cambiare, come evidenzia l’altra parte, i proprietari.
«Quando gli affitti negoziati collettivamente sono lontani dagli affitti di mercato, o aspetti diversi anni per ottenere un appartamento o ti rivolgi a un mercato nero in crescita. La riforma si limita soltanto agli appartamenti in affitto costruiti di recente o più facilmente accessibili dove la domanda è alta», ha dichiarato Martin Lindvall, Policy director della Fastighetsägarna, la Federazione svedese delle proprietà, in un’intervista a Euronews.
Il modello Finlandia da non emulare
L’intenzione di riforma del governo sembra molto simile a quella effettuata una trentina di anni fa in Finlandia, dove, all’inizio degli anni ’90, c’era una gravissima crisi economica che portò il mercato degli affitti a passare da un sistema unico al libero mercato nel giro di pochi anni. Un passaggio anche troppo radicale, come ha raccontato Anne Viita, presidente dell’organizzazione degli inquilini finlandesi, Vuokralaiset, visto che i proprietari possono arrivare addirittura a rescindere i contratti di affitto se gli inquilini non accettano un aumento.
Una risposta è però necessaria: già da tempo in Svezia esiste un problema alloggi, che riguarda non solo le grandi città come Stoccolma o Göteborg ma anche i Comuni più piccoli, come evidenzia il National Board of Housing, Building and Planning (Boverket) che sottolinea come 255 dei 290 comuni svedesi segnalino una carenza di alloggi. Un problema che viene da lontano: come analizza il sito The Local, la ragione sta molto probabilmente in una crisi bancaria che ha attanagliato la Svezia nei primi anni ’90. «I cambiamenti incrementali nelle politiche, nella legislazione e nello sviluppo dagli anni ’90 hanno reso vantaggioso per le famiglie possedere la propria casa e per i costruttori di alloggi costruire un certo tipo di alloggi: ville e appartamenti di proprietà di cooperative (noti come bostadsrätter in svedese).
Nel frattempo, è diventato meno vantaggioso costruire alloggi a prezzi accessibili e gli appartamenti in affitto, se costruiti, sono destinati alle famiglie ad alto reddito», ha dichiarato sempre a The Local il ricercatore Martin Grander dell’Università di Malmö. Un vero e proprio problema per una fascia di popolazione medio-bassa, visto che nel frattempo lo stock di case disponibili a basso reddito è sensibilmente diminuito a causa della vendita di appartamenti in affitto di proprietà comunale a cooperative o proprietari privati. Inoltre, all’inizio di quest’anno la Commissione europea ha nuovamente richiesto alla Svezia di correggere il suo sistema degli affitti, dopo averlo già domandato nel 2017. Nonostante le regole ferree in materia di affitti e anche subaffitti il sistema è sempre più tendente verso l’alto e molte famiglie preferiscono acquistare casa invece di pagare un affitto, con la conseguenza che nelle grandi città la domanda cresce senza un adeguato rialzo dell’offerta.
Gli sviluppi della crisi di governo
Si aprono diversi scenari per la crisi politica in Svezia: «Penso che Löfven cercherà di trovare sostegno per un nuovo governo e di aprire all’oratore l’avvio di un nuovo talmansrunda, un nuovo giro di consultazioni. Una nuova maggioranza non può prescindere però da un’alleanza rosso-verde, tra socialdemocratici e verdi», ha dichiarato Johan Hellström, ricercatore dell’Università di Uppsala. Un punto da cui partire piuttosto sostanzioso, visto che i due partiti dispongono di 116 voti nel Riksdag, ma ben lontano da quota 175, necessaria a formare un nuovo esecutivo. Se il partito liberale dovesse annunciare la sua definitiva uscita dalla maggioranza, una naturale conseguenza del suo spostamento verso il movimento dei Democratici Svedesi, a disposizione di Löfven resterebbero nuovamente il Partito della Sinistra e quello di centro, che garantirebbero 58 voti.
Se la loro convivenza dovesse funzionare, cosa non scontata, a quel punto i giochi sarebbero fatti: basterebbe un solo indipendente, come la ex deputata del Partito di Sinistra Amineh Kakabaveh che ha già votato a favore dell’esecutivo lunedì, per garantire la maggioranza. Una manovra che sembra però ancora più semplice a dirsi che a farsi. Il rischio però sono le urne, che potrebbero regalare ancora più spazio all’estrema destra svedese. Come ha dichiarato Jonas Hinnfors, professore di scienze politiche presso l’Università di Göteborg, all’agenzia di stampa TT News Agency «un’elezione anticipata rischierebbe di trasformarsi in una lotta fratricida tra i liberali e i moderati per rimanere in parlamento, il che potrebbe rendere i Democratici Svedesi il più grande partito a destra. Un risultato importante dei moderati sarebbe fondamentale per l’equilibrio di un futuro governo».
Un simile risultato sarebbe il definitivo sdoganamento del movimento della leader Jimmie Åkesson, transitato nel giro di pochi anni da organizzazione di estrema destra con radici neonaziste a movimento “quasi” rispettabile che ha da poco ricevuto i primi segnali di apertura dal mondo conservatore, in particolare dai Democratici Cristiani, Moderati e Liberali con i quali ha presentato una comune proposta migratoria. Solo per i Democratici svedesi le urne potrebbero essere un vantaggio, visto che «il blocco di centro-destra troverebbe più vantaggioso avere più tempo per prepararsi prima che gli elettori si rechino alle urne». Le elezioni non sono nell’interesse di nessun partito ma la domanda è se c’è un’altra alternativa davvero fattibile.