«Il mostro è sempre lo stesso: la gogna, il sensazionalismo, la presunzione di colpevolezza. Pochi giorni dopo, quella bestia sarei diventato io». L’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, dopo le scuse di Luigi Di Maio, racconta al Foglio la sua storia personale dall’arresto del 3 maggio del 2016 in poi. «Nonostante io non fossi mai stato renziano», dice, «il circo era pronto. Io ero la vittima da esibire».
Nel suo racconto ci sono l’«umiliazione» nel giorno di mercato in città, la cella di San Vittore, i compagni di cella Ciccio e Bruno, gli interrogatori, gli arresti domiciliari e l’uscita dalla politica. Dopo cinque anni, ora è arrivata l’assoluzione in secondo grado. Quella che ha convertito al garantismo il grillino Luigi Di Maio, che in una lettera al Foglio si è scusato per la gogna mediatica dei Cinque Stelle di quei giorni.
«Ricordo il fango. Ricordo le accuse trasformate in condanne. Ricordo i sospetti trasformati in sentenze. Ricordo le prime pagine dei giornali», dice Uggetti. E poi ancora: «Ricordo le manifestazioni, in piazza a Lodi, prima del M5S, con Luigi Di Maio, e poi della Lega. Salvini non venne ma poi, settimane dopo, quando tornò a Lodi per la campagna elettorale andò anche lui in piazza mimando le manette sovrapponendo i polsi delle mani. Lo ricordo bene: lo fece due volte. Di Maio oggi ha chiesto scusa, e lo apprezzo davvero, non so se è una svolta ma Salvini ancora no». Anche se, aggiunge, «le scuse dovrebbero arrivare forse non solo dai politici ma anche da alcuni giornalisti e da alcuni giornali».
Ora, dice Uggetti, «la mia esperienza credo possa insegnare qualcosa. Ha insegnato qualcosa ai miei avversari, spero insegni qualcosa al Pd». A partire dal «non relegare agli avversari la battaglia per una giustizia giusta». Uggetti si riferisce ai possibili referendum dei Radicali e della Lega. «Quei referendum non possono, credo, essere relegati alla destra. Quei temi sono patrimonio della sinistra».
E sempre sul Foglio, anche Goffredo Bettini, esponente di spicco e ideologo del Partito democratico, scrive una lettera rivolta al suo partito. «Non posso rimanere indifferente rispetto ai quesiti referendari promossi sul tema della giustizia dal Partito radicale», dice. «Se saranno l’occasione di un dibattito aperto, franco e responsabile e se potranno avere l’effetto di spingere in avanti una legislazione che si è dimostrata lenta negli anni passati, essi vanno considerati con grande attenzione e coraggio». E continua: «Non credo affatto sia giusto che questo tema sia un po’ pelosamente impugnato solo da quella destra populista, come la Lega, che amava esibire il cappio nelle aule parlamentari». Ecco l’invito, dopo aver elencato i punti dei quesiti referendari: «Si apra dunque un confronto serio e determinato».