Tra tutti i microrganismi che concorrono alle possibili fermentazioni della birra uno è diventato per gli appassionati una sorta di eroe o, forse, più semplicemente di mascotte. La sagoma del Brettanomyces si trova stilizzata su magliette e cappellini spesso accompagnata dal motto In Brett we trust.
Ma cosa è e perché è così amato dai birrofili?
Brettanomyces, che da qui in poi chiameremo anche noi Brett, è il nome di un genere di saccaromiceti – lieviti che si nutrono di zuccheri – talvolta presenti nella produzione di vino e di birra. Il Brett venne isolato per la prima volta nel 1904 all’interno dei laboratori della danese Carlsberg: N. Heite Clausen stava analizzando alcune ale provenienti dal Regno Unito e notò che molte, oltre a una distintiva nota di cuoio, erano caratterizzate dalla presenza di questo piccolo organismo che, in onore all’origine delle birre che lo ospitavano, venne chiamato fungo della Britannia. Il Brett è un ospite non sempre gradito nei vini e nelle birre: attraverso la digestione degli zuccheri dei quali si nutre, infatti, produce composti aromatici piuttosto distintivi che vanno dal cuoio che abbiamo appena citato a sensazioni fenoliche e speziate, fino a note, intense, selvagge, funky quando non addirittura animali. In basse concentrazioni contribuisce a dare complessità e profondità ma, soprattutto nel vino, quando diventa prevalente è considerato un problema. Nella birra la questione è un po’ diversa. Tra le peculiarità del Brett c’è la sua capacità di metabolizzare un particolare zucchero contenuto nel legno di quercia utilizzato per produrre le botti e di riuscire a nutrirsi anche in presenza di elevati contenuti di alcol, cosa che i normali saccaromiceti non riescono a fare, e di rendere così estremamente asciutti i prodotti che incontra sulla propria strada. La sua presenza è importantissima nei lambic dove svolge un ruolo centrale del processo fermentativo, ma è in una particolare birra, sempre belga, che il Brett ha un ruolo di assoluto protagonista.
L’abbazia di Notre-Dame-d’Orval venne fondata intorno all’anno 1000 nel sud-est del Belgio a poco più di un chilometro dal confine con la Francia. La leggenda narra che qui si fermò Matilde di Canossa di ritorno in Italia dopo le nozze con Goffredo IV, duca della Bassa Lorena; accostatasi al bordo di un laghetto, Matilde, perse l’anello nuziale che le venne però prontamente riconsegnato da una trota che sbucò dall’acqua con il gioiello in bocca. Questo miracoloso evento fece esclamare a Matilde che quella era davvero una valle d’oro, una Orval. Tra il 1926 e il 1948 l’abbazia trappista di Orval venne ricostruita su progetto dell’architetto Henri Vaes e nel 1932 proprio per finanziare questa costosa operazione venne creata una birra. Prodotta con tre malti pale, due caramello e zucchero candito (aggiunta che è piuttosto comune trovare nelle birre trappiste belghe) l’Orval subisce una prima fermentazione classica con lieviti da alta, prima di essere inoculata proprio con il Brett ed essere sottoposta a una luppolatura a freddo. Dopo tre settimane la birra viene confezionata nella classica bottiglia da 0,33 cl a forma di birillo prima di subire un’ulteriore fermentazione e di riposare per altre 5 settimane.
Le caratteristiche aromatiche dell’Orval cambiano molto con il passare del tempo. Se, infatti, negli esemplari più giovani sono soprattutto le fresche note del luppolo a spiccare, dopo almeno sei mesi il Brett inizia a far sentire la propria presenza con sottili note di cuoio che apportano complessità alla birra e le danno un profilo talmente unico da aver costretto i degustatori a parlare di goût d’Orval. Dal momento che il tempo è una componente così decisiva per poter apprezzare fino in fondo le caratteristiche di questa birra in etichetta oltre alla data di scadenza è riportata anche quella di confezionamento, così che il consumatore sia in grado di scegliere il livello di maturazione e di secchezza che più apprezza: pare che dopo un anno i Brett siano in grado di metabolizzare la totalità degli zuccheri presenti rendendo l’Orval, di fatto, una delle birre più secche al mondo.