Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, osserva i dati dopo un anno e mezzo di pandemia. E in un’intervista alla Stampa mostra ottimismo sulla crescita italiana. «I segnali che registriamo in queste settimane sono molto positivi e il dato sul Pil del secondo trimestre che pubblicheremo venerdì potrebbe confermare il quadro di ripresa», dice. Ma sul lavoro, e sui giovani in particolare, avverte: «Il problema dei bassi salari li spinge all’estero». E guardando i numeri dell’economia italiana post Covid, non ha dubbi sul futuro delle pensioni. «L’Italia non può permettersi forme di anticipo», taglia corto il professore, che proprio la Lega fautrice di quota 100 aveva voluto ai vertici dell’Istat.
La crisi innescata dalla pandemia ha colpito «in modo asimmetrico», spiega il professore. «Hanno sofferto di più i giovani, le donne, chi era occupato nel settore dei servizi cui sono state imposte le chiusure anti-contagio. In una prima fase, la perdita di occupazione ha interessato principalmente i dipendenti a termine e gli indipendenti, e solo in un secondo momento ha coinvolto i lavoratori a tempo indeterminato. Da inizio anno il quadro è in progressiva ripresa». Eppure la povertà continua a crescere. «Nel 2020 le famiglie in condizioni di povertà assoluta hanno superato i due milioni: oltre 300mila in più in un solo anno».
Molte imprese, intanto, lamentano l’assenza nel mercato del lavoro di alcune figure professionali. Dietro questo fenomeno, secondo il presidente dell’Istat, c’è in primis un problema salariale: «Questo è un problema, spiega la propensione di molti nostri giovani preparati a cercare un impiego all’estero. Nel corso del primo trimestre 2021 sono stati rinnovati otto contratti nazionali di categoria. Mentre quelli in attesa di rinnovo sono 43 e interessano circa 9,7 milioni di dipendenti – il 78,5% del totale – con un monte retributivo pari al 77,7%».
Guardando al dopo-crisi, invece, la velocità di recupero dei livelli occupazionali dipende da molti fattori. «L’anno scorso il tasso di attività è sceso ai minimi del giugno 2011, al 61,7%, per poi risalire gradualmente raggiungendo il 64% a maggio 2021», ricorda Blangiardo. «Molto dipenderà dalla fiducia delle imprese, da come verrà regolato lo smart working, soprattutto da come troveremo il modo di convivere con la coda lunga di questa pandemia».
Ma con questi numeri non sembrano esserci margini per abbassare l’età della pensione, avverte il professore. Mentre ieri il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha aperto ufficialmente il tavolo sulla previdenza con i sindacati, Blangiardo avverte: «Una popolazione sempre più vecchia e longeva come quella italiana non può più permettersi forme anticipate di pensionamento. Ritengo che la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro debba essere sostenibile finanziariamente. Inoltre sono convinto che i lavoratori più “maturi” debbano essere messi in condizione di continuare a offrire il proprio contributo, naturalmente per scelta libera, in modo flessibile e con adeguate forme di incentivazione. La loro presenza nel mercato del lavoro non va messa in contrapposizione con l’occupazione per i giovani, semmai quest’ultima andrebbe aiutata valorizzando forme di accompagnamento e di collaborazione intergenerazionale».
Intanto i sindacati ieri hanno presentato la loro piattaforma per il superamento di quota 100, prevedendo altri meccanismi di uscita flessibile: a 62 anni o con 41 anni di contributi per tutti. Ma si tratta anche sui lavori gravosi e sulla proroga dell’Ape sociale. Mentre il segretario della Cgil Maurizio Landini torna a minacciare la mobilitazione in caso di una mancata intesa.