La minaccia giustizialistaI pestaggi di Santa Maria Capua Vetere e il dilemma del populismo italiano

Salvini e Meloni solidarizzano con gli agenti, nonostante le inequivocabili immagini di quella che il ministero della Giustizia a guida grillina definì una «doverosa azione di ripristino della legalità». Istantanee di un passato recente e di un futuro possibile

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Dal punto di vista politico, le immagini dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere suscitano tre interrogativi. Il primo riguarda la natura del centrodestra, e in particolare del partito guidato da Matteo Salvini, anche ieri impegnato a contendersi con Giorgia Meloni il ruolo di principale avversario dello stato di diritto e dei principi basilari della civiltà moderna, schierandosi, se non proprio a difesa, quanto meno tra i grandi minimizzatori di quegli orrori.

(Piccola nota psico-linguistica: quando a compiere atti anche assai meno efferati è un singolo immigrato, per Salvini è la prova che il problema è l’immigrazione; quando a pestare, umiliare e torturare i detenuti sotto l’occhio delle telecamere di sorveglianza sono, secondo l’accusa, cinquantadue agenti penitenziari – dicasi cinquantadue – per Salvini si tratta al massimo di qualche mela marcia che non può assolutamente consentire generalizzazioni di sorta).

La domanda è dunque quale delle due direzioni prenderà la Lega salviniana: la strada della destra liberale decisa a intestarsi i risultati del governo Draghi, o quella dell’opposizione populista decisa a liberarsene il prima possibile per tornare al voto? Quella che nei giorni pari vede Salvini competere con Meloni sul terreno populista e illiberale, o quella che nei giorni dispari lo vede occupare il terreno liberale e modernizzatore offerto dal governo Draghi, e lasciato gentilmente a sua disposizione dal Pd?

L’aspetto grottesco, infatti, è che a solidarizzare con gli agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere è lo stesso leader politico impegnato nei referendum garantisti per una giustizia giusta. Se ci pensate un attimo, è qualcosa di straniante persino per gli standard della politica italiana: un po’ come se un’affermata femminista s’impegnasse nella battaglia per estendere la parità di genere anche alle desinenze della lingua italiana e contemporaneamente si schierasse dalla parte di un’organizzazione islamista che impone alle donne la sharia. 

(Seconda piccola nota psico-linguistica: quest’ultima ipotesi, a pensarci meglio, è meno assurda di quanto possa sembrare a prima vista, e forse il punto d’incontro di tutte le maggiori tendenze politico-culturali della nostra epoca sarà un comunicato in cui si proclamerà l’intenzione di spazzare via dalla faccia della terra tutt* gli/le ebreə, in nome di un antisemitismo inclusivo e politicamente corretto).

Il secondo interrogativo suscitato dalle atroci immagini di Santa Maria Capua Vetere riguarda invece la natura del centrosinistra. E si può riassumere nella seguente domanda: dove si collocherà, nella coalizione immaginata dai democratici con i Cinquestelle, il ministro della Giustizia che in Parlamento, attraverso il suo sottosegretario e compagno di partito Vittorio Ferraresi, definì quei fatti una «doverosa azione di ripristino della legalità», cioè quello stesso Alfonso Bonafede che amava gareggiare con Salvini nel farsi riprendere in divisa da poliziotto, e si immortalava con lui nell’indimenticabile video di propaganda girato all’aeroporto di Ciampino, per esibire sui social network un uomo in manette, Cesare Battisti, come fosse un trofeo?

Il terzo interrogativo, risultante dei primi due, riguarda infine la natura, e il futuro, del governo guidato da Mario Draghi. O se volete, guardando l’altra faccia della medaglia, la natura e il futuro dell’onda populista che nel 2018 è stata sul punto di imprimere alla democrazia italiana una svolta decisiva verso il modello illiberale dei paesi di Visegrad. 

La straordinaria sterzata verso la razionalità e la civiltà moderna impressa alla politica italiana dall’ultimo cambio di governo non dovrebbe farci dimenticare, infatti, che la composizione del Parlamento non è cambiata d’un Ciampolillo.

Inutile tornare adesso sulla genesi di una simile rivoluzione. Certo è stata sommamente rivelatrice la gaffe, chiamiamola così, con cui a sinistra gli inconsolabili orfani del contismo a suo tempo hanno parlato di una crisi di governo causata da una «convergenza d’interessi nazionali e internazionali». Confermando così tutta l’ambiguità della loro collocazione nel contesto della politica occidentale.  

La questione della reversibilità o meno dell’ondata populista e illiberale culminata cinque anni fa nella Brexit e nell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, non per niente, è a tutt’oggi la questione centrale della politica italiana, europea e americana. Come emerge da ultimo anche dalla decisione presa ieri in materia di procedure elettorali da una Corte suprema largamente ridisegnata dalle nomine di Trump. Decisione che sembra offrire una sponda alle spregiudicate manovre repubblicane per ostacolare l’esercizio del voto a larghissime fasce della popolazione.

Solo il tempo, dunque, permetterà di stabilire con certezza se il trumpismo sia stato solo  la momentanea deviazione dal naturale corso della democrazia americana, destinata a essere rapidamente riassorbita, o se sia stato invece parte di un più generale e non reversibile riassestamento della politica occidentale. Se l’eccezione, in Europa, si rivelerà la vittoria delle forze disgregatrici del nazional-populismo che hanno portato alla Brexit, o invece il tentativo di costruire una risposta solidale e unitaria agli shock esterni e agli squilibri interni con il Recovery fund. E dunque, in Italia, se immagini come quelle di Santa Maria Capua Vetere saranno solo il ricordo di un brutto passato, giustamente stigmatizzato da una Guardasigilli che appare decisa a ripristinare lo stato di diritto, o invece l’anticipazione di un futuro in cui sarà quella, sempre più spesso, l’immagine di ogni «doverosa azione di ripristino della legalità».

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