Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere raccontano molto di ciò che siamo, del nostro rapporto con i diritti fondamentali e del rispetto che lo Stato italiano mostra verso le proprie regole.
In questo senso i fatti sono evidenti: chi ha visto il video, pubblicato da Domani, riconosce subito la prevaricazione che lo Stato esercita nei confronti di persone sottoposte alla sua tutela. Ma penso ci sia una questione più profonda.
Le carceri costano. Tenere una persona chiusa in un cubicolo, sorvegliarla, darle da mangiare, vestirla e far muovere tutta la macchina che consente alle prigioni di funzionare è caro, è un servizio pubblico che pagano i contribuenti. Le stime dell’associazione Antigone riferiscono costi circa 130 euro al giorno per detenuto, moltiplicato per circa 60mila (il numero di detenuti, che tuttavia durante la pandemia si è momentaneamente ridotto), per 365 giorni l’anno.
Perché paghiamo questo costo elevatissimo? Non soltanto per allontanare dalla società persone che altrimenti turberebbero e violerebbero l’ordine pubblico con i crimini di cui sono accusati o condannati. Questa è una parte della ragione, la più giusta e accettabile se vogliamo.
Ce n’è un’altra, che scatena le punizioni corporali che abbiamo visto; punizioni che avvengono sotto l’occhio vigile delle telecamere di sorveglianza, circostanza certamente conosciuta alle guardie carcerarie che nonostante ciò infieriscono sui detenuti. Tra l’altro, come notava Simone Spetia nella sua rassegna stampa su Radio24, i detenuti appaiono “rassegnati” a quel passaggio sotto le forche caudine, allo schiaffo del soldato. Come se non fosse la prima volta.
Sottrarre “il corpo del condannato” alla vista e alle reazioni incontrollate della folla è uno dei motivi che ha spinto il sistema penale a inventare la prigione e a sospendere le esecuzioni pubbliche. Il potere nasconde il criminale alla vista, perché non ritiene più necessario esporne il supplizio al godimento (o alla rabbia) popolare.
Il carattere pubblico del supplizio, il ludibrio, permetteva al re di mostrarsi più forte del criminale, che con il suo gesto non aveva attaccato soltanto la vittima, ma anche il fondamento del potere reale di legiferare.
Oggi però questo motivo è sopravanzato da un altro, fondamentale nella società contemporanea: eliminare il male, che non può avere più posto in un mondo dove la storia è finita e non esistono più grandi orizzonti collettivi. Il male non deve esistere, va estirpato, se non ci si riesce negato e poi nascosto.
Il problema è che poi, all’interno di questo “buio”, può succedere di tutto. È come un buco nero che ripiega la luce, direbbero gli astrofisici. Non so se la soluzione sia abolire il carcere, come scrive Luigi Manconi da anni, ma di certo queste posizioni dovrebbero avere più forza all’interno del nostro dibattito pubblico. D’altronde fatti non fummo a viver come bruti.