Coerente con la testata, il Domani ha scritto qualche giorno più tardi del Fatto Quotidiano, di cui è costola minore, alcune migliaia di battute grazie a una delle sue firme di punta, Giorgio Meletti, contro la titolare della giustizia Marta Cartabia.
La ministra è dipinta come una specie di mostro assetato di potere fin dalla più tenera età, una indemoniata in balìa di perverse suggestioni religiose: è una ciellina! Qui parte un excursus di diverse migliaia di battute all’ombra di Dan Brown che culminano nel tradimento cartabiano nel momento in cui sale al soglio di Pietro il cardinal Jorge Bergoglio, gesuita (la fazione nemica di Cl) e, visto che ci siamo, ci sta bene pure un fugace attacco a papa Francesco e, manco a dirlo, alla formazione culturale di Mario Draghi.
«La vita precedente viene cancellata», scrive Meletti come se parlasse della Monaca di Monza: «Pensate che mai un giornale italiano ha pubblicato il nome di suo marito, Giovanni Maria Grava, per diversi anni tesoriere di Cl»; ma finalmente adesso Meletti ha colmato la lacuna. Una donna di potere che persegue un «nicodemismo 2.0», dal nome del «fariseo Nicodemo che professava la vede in Cristo solo di notte»: poco c’è al mondo di più vergognoso.
Prima, però, il collega del Domani aveva ritirato fuori l’accusa infamante, sostanzialmente di mentire a proposito dei fatti del carcere di Santa Maria Capua Vetere (qui sì, ottimo scoop del giornale diretto da Stefano Feltri), una valanga di melma contro la ministra che però all’epoca dei fatti non era ministra ma era ministro Alfonso Bonafede, grande amico del “Fatto di Domani”.
Come in un noir americano, Meletti qui torna indietro e osserva che in politica Cartabia «balbetta, ondeggia, smussa, precisa, come se fosse convinta che non far arrabbiare nessuno sia la strada maestra per diventare la prima presidente della Repubblica donna». Embè? Ma perché, l’ingegner De Benedetti vorrebbe un Presidente litigioso, attaccabrighe, manesco?
Ma si sa che la politica è il nervo scoperto anche dei fratellini con i calzoni corti di Marco Travaglio e allora dàgli alla Cartabia che s’azzarda a entrare nella zona alta delle istituzioni democratiche: i segugi del Domani hanno scoperto che è la politica lo stadio supremo delle di lei velleità, solleticate grazie alla nomina a giudice costituzionale da parte di quel cattivone di Giorgio Napolitano, e dunque ecco Marta nella Consulta fianco a fianco di Sergio Mattarella («alloggiano alla foresteria e spesso lui la invita a pranzo»), e insomma si sono accorti che lei è cresciuta e ne ha fatta di strada.
Una volta ministra, «alla prova della politica, Cartabia ha faticato parecchio a diventare da opinionista a deciditrice (sic)» e per esempio «ottiene» l’arresto di un ex brigatista che tanti anni dopo i fatti criminosi dovrebbe andare in galera – come se queste cose le decidesse la ministra – mentre ella fa sfoggio di voler limitare la prescrizione (il nesso è forzatissimo ma lasciamo perdere).
Come Stendhal intitolò il suo gran romanzo “La Certosa di Parma” senza che la stessa Certosa venisse menzionata nel libro, anche Meletti sfiora appena la parola magica – “prescrizione” – che è il vero punto centrale dell’articolo, fulgido esempio di character assassination della ministra. Già, se non fosse che Cartabia si è messa in testa di demolire la mostruosità giuridica partorita da Fofò dj (Bonafede) per la quale uno può stare sotto il tallone di un magistrato vita natural durante, con ogni probabilità il Domani avrebbe parlato d’altro che non del gesuitismo di Cartabia, magari avrebbe approfondito – che so – le perfettamente lecite attività di consulenza di Enrico Letta sulle quali aveva già sprecato una paginata con un “scoop” che gli è tornato sulla fronte come un boomerang. Incidenti del mestiere.
Ma poi c’è la realtà di oggi con cui il Domani litiga spesso.
Sarà infatti da vedere come domani il Domani commenterà le notizie reali su una probabile intesa Cartabia-Conte sulle modifiche al testo di riforma approvato dal Consiglio dei ministri, dove era seduta anche la prestigiosa ministra Fabiana Dadone che l’in-domani annunciava sfracelli poi ringoiati («Ci vuole calma», commentò la pur mite Debora Serracchiani). L’accordo è possibile. Molti emendamenti grillini sono stati ritirati, il che è un buon segno.
Sempre che l’avvocato del populismo non faccia un altro salto della quaglia, impaurito dalle bordate dei tanti grillini classificati come «matti» dagli alleati di governo che seguono più ai Travaglio e ai Feltri che Draghi e Cartabia: e a quel punto bisognerà mettere la fiducia, ipotesi tutt’altro che scontata. Facile in quel caso prevedere un titolo sul Domani evocante un golpe politico naturalmente ordito nel triangolo palazzo Chigi-via Arenula-Quirinale. Perché, statene certi, i fratellini piccoli di Travaglio non molleranno la presa: “Siamo giornalisti!”. Già: «e domani, domani, domani…», inizia il celebre monologo del Macbeth, che prosegue così: «Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è che un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e si agita su un palcoscenico per il tempo a lui assegnato, e poi nulla più s’ode: è un racconto narrato da un idiota, pieno di rumori e strepiti che non significano nulla».