Effetto serraLo squagliamento del centrodestra certifica il paradosso di un bipolarismo senza più poli

Fratelli d’Italia che si azzuffano con leghisti e forzisti, cinquestelle contemporaneamente al governo e all’opposizione, Pd diviso tra populisti e riformisti: perché ostinarsi a inseguire la chimera di coalizioni ormai liquefatte?

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La politica italiana ci ha abituati a molte stranezze, ma non ricordo di avere mai visto prima d’ora un intero partito appellarsi nientemeno che al capo dello Stato in una polemica con i propri alleati come quella aperta da Fratelli d’Italia con il resto del centrodestra sulle nomine Rai. Non posso scartare l’ipotesi, per i limiti della mia esperienza, che qualcosa di simile sia accaduto in passato nel parlamento neozelandese, in Corea del Sud o nell’Africa subsahariana, ma nell’Italia degli ultimi settant’anni mi sentirei di escludere che si sia mai vista una formazione politica denunciare un attentato alle istituzioni democratiche portato avanti dai due partiti con cui, nel frattempo, si candida a governare il paese (alle prossime politiche), e prima ancora diverse importanti città (alle imminenti amministrative).

O almeno si candiderebbe, se riuscissero a mettersi d’accordo almeno su quello. Ma il fatto è che l’ultimo schiaffo ricevuto sulle nomine Rai – ultimo di una non breve serie, per essere onesti, dal Copasir in poi – ha fatto saltare anche la partecipazione di Giorgia Meloni alla conferenza di presentazione del candidato del centrodestra a sindaco di Milano (anche lui, ultimo di una lunga serie), nonché i nervi a molti dei partecipanti. Tra i presenti, lì convenuti proprio per manifestare la ritrovata unità della coalizione, sono corsi insulti e dispetti assai poco intonati all’occasione, a cominciare dall’allontanamento della forzista Licia Ronzulli dalla prima fila, a maleparole, da parte di un poco galante Ignazio La Russa.

Questioni caratteriali a parte, è evidente che nel centrodestra, tra le molte ragioni di tensione, c’è anzitutto il fatto che Lega e Forza Italia sono al governo, mentre Fratelli d’Italia è all’opposizione. Una questione tanto elementare quanto difficilmente superabile.

Il quadro sarebbe però gravemente incompleto se omettessi di dire che la situazione nell’altro campo, comunque lo si voglia definire, non appare certo migliore. Se infatti il centrodestra è diviso tra governo e opposizione, dall’altra parte una simile spaccatura sembra correre addirittura dentro la stessa formazione, il Movimento 5 stelle. E qui abbiamo un’altra novità assoluta: il leader (in pectore) di un partito di governo, Giuseppe Conte, che sconfessa platealmente l’accordo siglato da tutti e quattro i suoi ministri, senza che né l’uno né gli altri appaiano minimamente sfiorati dall’idea di doverne trarre qualche conseguenza.

Per non parlare del Partito democratico, schierato contemporaneamente a sostegno del governo Draghi e del suo principale rivale, l’inconsolabile Conte, fermamente deciso a mettergli i bastoni tra le ruote. Se poi volessimo intrattenerci analizzando anche i rapporti degli uni e degli altri con le formazioni liberal riformiste di Carlo Calenda e Matteo Renzi, rischieremmo di non uscirne più: attualmente la situazione dei rapporti interni alla presunta coalizione di centrosinistra ricorda infatti quei matrimoni in cui ci vogliono giorni per stabilire i posti a tavola, perché metà dei famigliari non rivolge più la parola all’altra metà.

Se si votasse domani, insomma, sarei molto curioso di vedere come si disporrebbero le forze in campo e cosa ne uscirebbe fuori, considerando che abbiamo tuttora, per una ragione che va al di là della mia capacità di comprensione, una legge elettorale che premia le coalizioni pre-elettorali, pur non avendo, attualmente, alcuna coalizione. Dei due principali schieramenti di cui ci ostiniamo a parlare come se esistessero, infatti, il centrosinistra non c’è ancora, e non si sa nemmeno da chi dovrebbe essere composto; il centrodestra non c’è più. 

Per dire la verità, non è la prima volta, purtroppo, che in Italia tocca assistere allo spettacolo di una coalizione che si candida a governare unita il paese, composta da partiti che nel frattempo si trovano all’opposizione l’uno dell’altro. È una delle tante distorsioni generate dalla madre di tutte le distorsioni della Seconda Repubblica: le coalizioni pre-elettorali (mostruosità sconosciuta a qualsiasi democrazia avanzata, non per caso).

L’argomento secondo cui il bipolarismo di coalizione avrebbe portato gradualmente a un processo di semplificazione e unificazione all’interno dei diversi schieramenti poteva apparire ragionevole negli anni novanta, quando cominciarono i primi tentativi in tal senso. Ma oggi, dopo trent’anni di esperimenti infruttuosi, direi che siamo ben oltre i limiti dell’accanimento terapeutico. Sarebbe ora di prenderne atto.

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