La barbarizzazione dei romaniCome Salvini ha fagocitato Forza Italia e quel che resta della destra liberale

Silvio Berlusconi si è illuso di poter governare e sfruttare la potenza mediatica del leader della Lega, capace invece di innestare il seme sovranista tra le fila centriste. Adesso ai forzisti spetta quindi il ruolo di sovranisti di complemento, mentre il leader del Carroccio continua la sua pantomima da politico moderato

LaPresse

Come nel teatro greco e shakespeariano i ruoli femminili erano interpretati da uomini, così nel fu centro-destra italiano il conservatorismo normale o, come usa dire, moderato sembra diventato appannaggio di sovranisti en travesti e, in particolare, della Bestia col doppio petto aziendalistico indossato sulla felpa d’ordinanza e con il birignao del «mi consenta» alternato all’evocazione della ruspa.

Quasi inutile dire, ovviamente, che la profondità dei personaggi femminili, pur se recitati da uomini, nel teatro classico era comunque straordinaria e la cultura dell’umanità fa ancora i conti con le figure di Antigone, di Medea, di Ofelia e di Giulietta, mentre il personaggio moderato che Salvini si è messo in testa di interpretare, e di cui il Cavaliere è più che disposto a certificare la denominazione d’origine, è – mutatis mutandis – una sorta di drag queen senza il gusto e il talento del grottesco, ma con l’arroganza e la protervia della vera signora.

Un personaggio, per farla breve, inautentico nella sostanza e non solo nella forma. Sia chiaro: le schermaglie sulla federazione/unificazione/annessione di Forza Italia, su cui sembra convenire lo stesso Berlusconi – per quanto sia possibile desumere dai segnali di fumo di Arcore la volontà di un personaggio ormai invisibile e pesantemente condizionato dalla salute e dall’età – rimandano a dinamiche assolutamente comuni e coerenti con le regole del gioco politico.

La debolezza assoluta di Silvio Berlusconi incorporata in quella relativa di Matteo Salvini, oggi incalzato e quasi sorpassato da Giorgia Meloni, riconsegnerebbe al secondo il ruolo di Capitano della coalizione e consentirebbe al primo di far pesare in modo più significativo un numero di voti potenziali che, viste le performance passate, è sempre più penoso contare.

Però, prima e a monte dei disegni di una onesta politique politicienne, questo processo racconta soprattutto della capitolazione e auto-consegna della destra liberale alla destra illiberale, che solo in Italia, oltre che ai confini orientali dell’Unione europea, è avvenuta in modo così compiuto e radicale dal punto di vista culturale e che il Cavaliere negli ultimi due decenni non ha avversato, ma secondato, illudendosi di convertire la rivoluzione liberale predicata alle origini in una rivoluzione illiberale scatenata nelle cause, ma controllata negli effetti, gonfiata nei consensi dal vento sovranista che già iniziava a soffiare potente al volgere del secolo, ma politicamente garantita dalla sua stessa persona, dalla sua rete di relazioni e di potere, dalla sua capacità di essere e fare tutto e il contrario di tutto.

È il Cavaliere, in realtà, ad avere aperto la strada alla bestia (poi diventata la Bestia) nell’illusione di poterla provocare e dominare, eccitare e ammansire: di far scrivere a Giulio Tremonti, per conto della ditta politica di famiglia, la bibbia della reazione antimercatista e antiglobalista e di continuare a biascicare i paternostri dell’economia liberale; di dettare la verità di Stato sull’austerità assassina e sull’Europa anti-italiana e di rimanere nel consesso dei leader dell’Ue influenti e rispettati; di prestare sponde politiche e mediatiche all’amico Vladimir Putin e di pretendere per sé il ruolo del campione dell’atlantismo più classico; di rappresentare e avere fatto rappresentare dall’informazione retequattrista le dinamiche migratorie come la vera emergenza nazionale e di incarnare il milanesismo accogliente e compassionevole del Gran Milan, col coeur in man; di fare del garantismo una sorta di privilegio politico di classe delle persone dabbene e di continuare a scandalizzarsi per un uso politico della giustizia (e della politica sulla giustizia) uguale e contrario.

E si potrebbe proseguire a lungo con gli esempi di tutte le alternative che Berlusconi si è rifiutato di riconoscere come tali e che si è illuso di tenere insieme come estremi complementari, per non perdere un solo voto, con il risultato regalarli quasi tutti agli interpreti più coerenti della reazione populista.

Non è certo solo italiano il fenomeno del divorzio della destra politica dal liberalismo e della fascinazione conservatrice per forme di democrazia autoritaria, refrattarie alla limitazione del potere dello Stato sovrano e al riconoscimento di diritti individuali indisponibili e incondizionati, non assorbibili nelle volontà e nelle pretese di un singolare collettivo, sia esso il popolo, la comunità o la gente…

Ma in Italia quella destra normale è stata ufficialmente battezzata di sinistra anche da quanti avrebbero dovuto rappresentarla e avevano promesso di resuscitarla dalla mattanza post-Tangentopoli. Il tradimento dei chierici che, riprendendo il titolo dell’opera di Julien Benda, Anne Applebaum addita agli intellettuali conservatori che hanno ceduto al fascino dell’autoritarismo, andrebbe in Italia imputato praticamente all’intera classe politico-culturale della stagione berlusconiana, con pochissime e isolatissime eccezioni, non superiori, peraltro, a quelle degli intellettuali progressisti, che si oppongono al compromesso storico demo-populista tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle.

Così mentre in buona parte d’Europa è quella destra o comunque la non sinistra (a partire da Angela Merkel ed Emmanuel Macron) a rappresentare un argine al nazionalismo sovranista, in Italia ai cosiddetti liberali di Forza Italia spetta il ruolo di sovranisti di complemento e di servizio. Non solo a sinistra, ma anche a destra, l’illusione di romanizzare i barbari porta all’esito fatale della barbarizzazione dei romani.

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