È un fatto un po’ inatteso ma incontrovertibile: dopo il Movimento 5 stelle, scricchiola la destra. Più o meno per il medesimo motivo: una lotta di potere tra i leader. Una questione privata, che in politica diventa affare pubblico. È un dato reale che in questa lunga estate calda sia il bi-populismo a andare in difficoltà.
Non c’è nessun problema sui contenuti fra Giorgia Meloni e Matteo Salvini (caso mai, c’è con Forza Italia), ma “solo” la competizione sulla leadership o meglio sulla premiership che forse verrà. Il fatto nuovo di questi giorni è che la Meloni è isolata come non mai.
La rabbia di Giorgia per le recenti fregature che Berlusconi e Salvini le hanno rifilato (l’ultima sul Cda Rai) era scontata ma è stata un po’ troppo sopra le righe per non generare l’ipotesi che la leader di Fratelli d’Italia si stia d’un tratto accorgendo che la sua ascesa è ostacolata in ogni modo, e da tutte le parti. E lo sarà sempre più.
La costante crescita nei sondaggi, le ottime vendite del libro auto-agiografico (qui un definitivo articolo di Guia Soncini), le aperture di credito di intellettuali importanti, tutto questo ha probabilmente contribuito a “montare la testa” della giovane leader: è un fenomeno umano che si ripete spessissimo, a destra come a sinistra. Meloni, nella sua foga populista, ha pensato di avere “il popolo” con sé, come già accadde ai vari Dibba, contro “le élite”, qualunque cosa per lei il termine voglia dire.
Nella sua mentalità semplificatrice e digiuna di buoni strumenti culturali (una che è passata dal Medioevo ai carri armati sovietici saltando a piè pari la Rivoluzione francese, che per lei deve essere una specie di nonna di Pol Pot), Meloni sta commettendo un errore che potrebbe esserle fatale: quello di non curvare il suo partito nella direzione di una destra moderna, europea, democratica, antifascista e tecnicamente in grado di governare un Paese in bilico tra crisi e sviluppo come l’Italia.
Non ha insomma avvertito che la stagione del “populismo nero” alla Marine Le Pen o Alternative für Deutschland è alla fine, resistendo solo in Paesi lontanissimi, geograficamente e culturalmente, come l’Ungheria e la Polonia.
Non ha capito che la nuova Europa di Ursula von der Leyen e Paolo Gentiloni è avvertita come un’amica e non come una cricca tiranna, e nemmeno intuito che l’Italia è il Paese di Paola Egonu più che degli scalmanati ragazzotti razzisti che la applaudono.
Questa Europa, ormai abituata alla pratica illuminista di Mario Draghi, difficilmente s’intenderebbe con Ignazio La Russa; e la nuova America di Joe Biden, Janet Yellen e Tony Blinken avrebbe parecchie difficoltà a intendersi con la stessa Meloni che considera gli Stati Uniti la centrale operativa del grande sistema pluto-giudaico.
Non vede, Giorgia, che il popolo – davvero, il popolo – delle partite Iva, dei piccoli imprenditori, della deep economy italiana non ha ancora capito cosa lei proponga in economia, ammesso che abbia un’idea in testa diversa dal solito vecchio assistenzialismo all’italiana. In parte, sono gli stessi problemi che hanno determinato la crisi del Movimento 5 stelle e che dicono quanto le ricette populiste sbattono il muso contro la realtà.
È chiaro che l’Italia non è un Paese a sovranità limitata e voterà come le pare: ma l’ostilità delle forze democratiche che hanno vinto la sfida politica di questa fase – soprattutto grazie alla cacciata di Donald Trump – è un dato oggettivo destinato a sfavorire gli eredi del Movimento sociale. Ed è perfettamente inutile che su questo punto, su questo nervo scoperto, Giorgia Meloni si irriti, perché questo è il suo primo tallone d’Achille: non fare la fatica che fece Gianfranco Fini non è una scorciatoia, è un macigno che le peserà sempre sul groppone.
E il secondo tallone d’Achille è la povertà culturale, sua e del gruppo dirigente, l’inabilità tecnica sul piano del governo delle complessità, come si vede tra l’altro nella pochezza espressa a livello delle candidature per le prossime amministrative, dove il fiore all’occhiello è questo Enrico Michetti, che Giorgia accompagnerà per i quartieri di Roma fino alla sconfitta finale. Con la Lega che si è furbescamente defilata dalle amministrative, l’unica sconfitta rischia di essere proprio Giorgia, e nella sua Roma. Non esattamente un buon inizio di anno politico.
In conclusione, Giorgia Meloni ha fatto dello splendido isolamento all’opposizione una scelta pagante nel breve periodo che però le attirerà sempre più avversari e nemici da ogni dove, a cominciare, come detto, da un Matteo Salvini che ha invece un doppio colpo in canna: guidare il centrodestra o restare in un quadro di unità nazionale.
Per non parlare di Forza Italia che potrebbe contribuire a far nascere qualcosa di nuovo fuori dal centrodestra. Giorgia, col suo viso perennemente imbronciato che evoca un infantile ribellismo, non ha nelle sue corde l’attitudine del governo di una società complessa come la nostra. Unfit, scrisse l’Economist a proposito di Silvio Berlusconi. Ecco, appunto.