Sono così anziano da ricordarmi, come se fosse l’estate scorsa, che il Partito democratico rassicurava i suoi elettori, disorientati dall’incomprensibile resa ai Cinquestelle sul referendum antipolitico contro il Parlamento, spiegando che subito dopo quella pericolosa mutilazione della nostra primaria istituzione democratica avrebbe fatto scattare una serie di riforme correttive e di salvaguardia della democrazia repubblicana, a cominciare dalla riforma della legge elettorale in senso proporzionale, proprio per evitare il deficit di rappresentanza che il referendum grillino avrebbe provocato.
Naturalmente, il Pd non ha fatto nulla, facendosi turlupinare per l’ennesima volta da Conte e associati. Nessuna legge elettorale, nessuna riforma dei regolamenti parlamentari, nessuna ricomposizione del collegio elettorale per l’elezione del presidente della Repubblica che, per effetto del referendum, oggi è sbilanciato a favore dei delegati regionali (e di destra, bravi!).
L’unica promessa che è stata mantenuta è quella dell’estensione del diritto ai diciottenni di eleggere anche i senatori, non solo i deputati, una cosa residuale che a questo punto rende inutile il bicameralismo.
Ma restiamo al punto che secondo gli strateghi del Pd avrebbe dovuto attenuare l’antidemocraticità del referendum antipopulista: la riforma elettorale proporzionale.
Su questo non è stato fatto niente, e non solo per colpa del Pd, ma adesso la posizione ufficiale del Partito democratico di Enrico Letta è cambiata: il Pd è tornato alfiere del maggioritario, come se il referendum che ha cancellato un terzo dei rappresentanti del popolo non fosse mai stato celebrato, come se gli allarmi sui pericoli per la nostra democrazia causa riduzione dei parlamentari, lanciati dallo stesso Pd qualche mese fa, fossero stati soltanto uno scherzo e una presa in giro degli elettori.
E dunque ora ci troviamo a discutere di un prossimo Parlamento che sarà certamente mutilato ed eletto con un sistema iper maggioritario a causa del referendum, grazie al quale Giorgia Meloni e Matteo Salvini, si vedrà in quale ordine come nei migliori reality show, potranno legittimamente orbanizzare a piacimento la nostra democrazia.
Se ne riparlerà nel 2023, quindi in teoria ci sarebbe tempo per porre rimedio a questo atroce autogol del Pd, senonché molti intellettuali d’area sono talmente autolesionisti da lavorare alacremente addirittura per anticipare la débâcle democratica al 2022, basti vedere ieri Piero Ignazi sul Domani, con lo stratagemma di promuovere Mario Draghi al Quirinale il prossimo anno per rimuoverlo da Palazzo Chigi in modo da consegnarsi mani e piedi al surreale avvocato populista e, di conseguenza, regalare il Paese ai neo, ex, post fascisti che a quel punto non incontrerebbero nessun ostacolo nel caso volessero, come dicono, instaurare una Repubblica illiberale, anti europea, anti occidentale e NoVax.
Un progetto eversivo che solo i geni tattici della Ditta non vedono apparecchiarsi davanti ai loro occhi, ma che comunque preferiscono a ogni ipotesi di ulteriore rilevanza politica di Matteo Renzi e di Carlo Calenda, per non parlare dei liberali di sinistra e di destra senza patria che in questi anni, peraltro, hanno votato Pd per mancanza di alternative.
Un tempo nella Ditta si sarebbero chiesti «che fare?», sapendo bene che l’unica cosa da fare oggi per risparmiarci domani tensioni nazionali e incubi internazionali è, come abbiamo scritto più volte, respingere al mittente le offerte di eleggere Draghi al Quirinale, sostenere il governo (il governo, non le idiozie anti governative di Conte e dei suoi babbei associati) fino alla scadenza naturale della legislatura e utilizzare il tempo a disposizione per approvare una legge elettorale proporzionale, la più pura possibile, che liberi i partiti e i movimenti di entrambi gli schieramenti dall’obbligo innaturale di allearsi preventivamente nonostante si detestino a morte. Lo dico a malincuore e da uninominalista maggioritario convinto, al contrario di Francesco Cundari che su queste colonne ha più volte ricordato ai maggioritari come me che trenta anni di o di qua o di là in Italia non hanno funzionato.
In realtà, il nostro non è mai stato un vero maggioritario, tanto più che è stato un ibrido innestato su una forma di governo parlamentare e su una cultura consociativa che difficilmente si sposano con l’idea del vincitore-prende-tutto di stampo anglosassone. Ma concordo con Cundari che per molti versi è stato anche un bene che questo matrimonio non si sia fatto, perché non oso immaginare che cosa sarebbe potuto succedere al nostro Paese con un Donald Trump comandante in capo e senza contrappesi parlamentari a Palazzo Chigi.
Forti di istituzioni bicentenarie, gli americani hanno parato con molta fatica il colpo Trump, e non è detto che il pericolo sia scampato, ma noi non possiamo permettercelo nemmeno per scherzo, come non se l’è potuto permettere l’Ungheria.
Ecco, mentre il Pd gioca col fuoco, si occupa di battaglie identitarie non per vincerle ma per darsi un tono e fa la guerra all’usurpatore Renzi e al possibile successore Calenda, il punto è esattamente questo: dobbiamo evitare che il risentimento e l’incapacità dei leader dell’unico partito costituzionale italiano regalino al blocco populista che va da Conte a Meloni, passando per Salvini, l’occasione di riprendersi il Paese e di mandarlo allo sbaraglio.
Ci siamo salvati due volte dal baratro, grazie a Renzi e all’Europa, prima ingabbiando Salvini al Papeete e poi sostituendo Conte e Fofò Dj con Draghi e Marta Cartabia, ma non è detto che ci sarà una terza occasione.
C’è una sola via di fuga: sostenere Draghi e recuperare la legge proporzionale, imponendola ai babbei come garanzia della loro sopravvivenza e sfruttando le dinamiche bellicose dentro la destra, certamente coinvolgendo quel che resta di Forza Italia e confidando che Salvini non sia così baluba come sembra quando non si rende conto che da una parte rischia di farsi surclassare da Meloni e che dall’altra non potrà soddisfare il suo elettorato nel Nord produttivo se governerà da psicopatico anti occidentale in guerra con l’establishment europeo e globale e contro gli interessi degli italiani.