Il giusto mezzoLa difficile posizione di chi non sta né coi no vax né con questo green pass

La certificazione vaccinale costituisce una violazione dell’intendimento anti-discriminatorio dell’ordinamento, anche europeo, ma quegli altri sono sediziosi. Come uscirne?

LaPresse

Né con questo green pass né con le piazze del vaffanculo a Draghi si può scrivere? È meno facile e meno redditizio che mettersi in modo convinto da una parte o dall’altra, perché se ti ci metti stai certo che almeno una curva ti applaude mentre se stai fuori ti prendi fischi da entrambe. Amen. Resta che la certificazione verde, almeno per come si è preteso di regolamentare (cioè comprimere) i diritti di chi ne è privo, costituisce una violazione plateale dell’intendimento anti-discriminatorio del nostro ordinamento e di quello dell’Unione cui ci piace fare appello a condizione che prescriva cose gradite.

Si può anche discutere della teorica ammissibilità dell’obbligo vaccinale, persino generalizzato, ma nell’assenza di quest’obbligo non sta né in cielo né in terra – come invece qui stiamo facendo – limitare i diritti costituzionali delle persone che lecitamente decidono di non vaccinarsi. Perché non è il vagheggiamento negazionista a consentire al cittadino di non vaccinarsi: è la legge. Non è un apoftegma parrocchiale a ingiungere che gli Stati si astengano dall’adottare politiche discriminatorie contro chi non può o non vuole vaccinarsi: è ancora la legge. 

E sono chiare risoluzioni europee, non divagazioni democraticiste, quelle che inibiscono l’esercizio di pressioni politiche e sociali rivolte a ottenere che le persone si vaccinino. Ebbene, per denunciare che questo dispositivo di profilassi contro quelle pratiche di discriminazione sia assai poco rispettato nel Paese della certificazione verde per l’ultra dodicenne, o in quello (è sempre lo stesso Paese, sempre il nostro) in cui se non ti vaccini significa che ammazzi il prossimo, ecco, per denunciarlo non occorre andare in piazza con quelli che agitano i cartelli contro Big Pharma o insultano il presidente del Consiglio, né tanto meno bisogna sostenerne le ragioni: che se pure ci fossero sarebbero manifestate assai malamente. 

Appunto perché si può – e io direi si deve – obiettare senza riserve che questi provvedimenti di contenimento sono forse inefficaci e, senza forse, di molto dubbia legalità, fermo restando che appaiono a dir poco inaffidabili le adunate per la libertà cui abbiamo assistito nei giorni scorsi e che tanto, ma proprio tanto ricordano quelle dell’onestà che hanno issato al potere la schiatta di pericolosi analfabeti infine capitanata dal damerino in pochette insediato a Palazzo Chigi sotto la regia dell’esperto in depilazione ascellare.

A me pare che quella gente fosse perlopiù ben accucciata quando piovevano i decreti personali del capo della Junta grillo-progressista, e dubito assai che la loro ritenutezza fosse dovuta al timore delle sanzioni: è, piuttosto, che l’italiano non è rivoluzionario, il che probabilmente è un bene, ma sedizioso, il che è certamente un male. 

E per questo accetta con equanimità un anno e mezzo di gravissima illegalità costituzionale e il più osceno ripiegamento autoritario da che esiste la Repubblica, mentre perde letteralmente le staffe se è soggetto a limitazioni certamente inopportune e anzi anche ingiuste, ma indiscutibilmente disposte durante una gestione meno scombiccherata e più responsabile. 

E vogliamo dirla tutta? Che mentre le limitazioni invernali incidevano su una routine almeno teoricamente lavorativa, e dunque erano dopotutto sopportate quando non benvenute, quelle attuali rompono le uova nel paniere vacanziero: e non sia mai. Si dirà che in piazza non trovi un concerto esclusivo di accademici liberali; si dirà che è gioco forza che ci sia un po’ di tutto e che non puoi pretendere che la contestazione sia ispirata da fini ragionamenti ordinamentali né connotata da inflessibile compostezza civile. 

Certamente: ma era forte la sensazione che il green pass fosse contestato innanzitutto, se non esclusivamente, perché compromette il ferragosto. Che è un diritto anche quello, per carità, ma se si risolve nella ragione esclusiva della protesta diventa la brioche reclamata in luogo del pane.

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