Se è morta Raffaella Carrà può morire anche questa rubrica gastronomicaIl necrologio di burp!, a meno di imprevedibili resurrezioni

Ecco come è nata e perché finisce (per ora) l’era di questa sezione, con la certezza che di parlare di cibo in modo diverso ci sia sempre bisogno e la promessa che continueremo a farlo

Nella settimana in cui abbiamo scoperto che anche Raffaella Carrà era mortale, scoprirete che pure burp! lo è. Ma ci torniamo nelle righe finali, dai. Per ora soffermiamoci sull’esercizio che abbiamo fatto in queste cinquantadue puntate (come le cinquantadue settimane dell’anno) apparse su Linkiesta Gastronomika, sulle quattro puntate comparse su Medium, e sui due anni circa trascorsi in veste di Per un pugno di link nell’ahimé defunto sito di Piattoforte. Dico esercizio perché l’idea della rubrica nasceva da una lamentela (sì, sono un po’ lamentoso), che si basava sulla constatazione che una parte considerevole della scrittura gastronomica italiana viveva in un ghetto, era di qualità mediamente bassa, e peccava di provincialismo. Direte, «eccolo qua l’ennesimo figuro che accusa l’Italia di provincialismo, ormai è diventata una moda». Questa cosa mi è stata fatta notare più volte, ma siccome ero e sono convinto della constatazione iniziale, sono andato dritto e ho preso molto sul serio l’idea di portare dalle nostre parti il dibattito gastronomico internazionale per dialogarci, tradurlo, digerirlo. Nel frattempo, però, avvertivo anche l’esigenza di liberarci dal ghetto: «Ah, scrivi di cibo? Fai le ricette? Mangi gratis nei ristoranti?» rimangono le frasi più quotate quando incontriamo qualcuno che ci chiede «che lavoro fai?». E invece pensavo, e penso tuttora, che scrivere di cibo sia una faccia dell’articolato mondo della produzione culturale, e che quindi meriti una certa dignità, soprattutto se fatto come si deve.

Ecco, burp! voleva essere un tentativo di abbattere i muri del ghetto, di stimolare una maggiore qualità della scrittura gastronomica, e di aprirsi al resto del mondo. Ambizioso, lo ammetto. E onestamente non sono sicuro che questa piccola rubrica sia riuscita nel suo intento, nonostante alcuni fedeli lettori che diranno il contrario: perlopiù sono amici, e quindi sono di parte. Ma almeno un piccolo risultato lo ha ottenuto, e di questo ho certezza: ha obbligato il suo autore (io) a costruirsi un abito mentale aperto, curioso, attento alle sfumature e abituato a vedere le questioni sotto diverse angolature. Insomma, se burp! non è servita ai lettori, almeno è servita all’autore. Una magra consolazione?
Forse sì, e allora ci provo ancora una volta. Per chiudere questo viaggio ormai abbastanza lungo (ne parliamo nelle righe finali, dai) getto il cuore oltre l’ostacolo, come si suol dire, e propongo una lista di articoli NON gastronomici, per ricordare a tutti che leggere molto e di tutto un po’ è la strada più veloce per stimolare apertura mentale nel discorrere di cibo, e per migliorare la qualità della propria scrittura. Ne abbiamo bisogno, no?
Dicevo della dignità che dovrebbe avere la scrittura gastronomica, e su Internazionale nel breve Scritture appassionate Claudia Durastanti fa un ragionamento sulla critica musicale che ben si adatta anche al nostro ambito.
In Uncanny Planet (The New York Review of Books) Mark O’Connell suggerisce che il mito del ritorno alla natura, sbandierato da tanti anche in ambito agricolo-gastronomico, è appunto un mito.
Visto che dalle nostre parti si parla ormai in modo martellante di ecologismo e sostenibilità alimentare, può essere utile leggere La riscoperta della conoscenza ecologica tradizionale di Ettore Camerlenghi, pubblicato da Il Tascabile.
Nel frattempo siamo ancora un po’ schiavi del culto dei grandi chef, cosa che negli ultimi mesi a dire il vero in molti hanno provato a combattere. Ma visto che parliamo di culti, vale la pena farsi un’idea a partire da What Makes a Cult a Cult?, firmato da Zoë Heller per il New Yorker.
Eccoci alle righe conclusive, finalmente. Con la puntata di oggi burp! si ferma. Definitivamente? A tempo determinato? Non è dato saperlo, è una questione di esplorazioni che non vogliono limitarsi a burp!, appunto, ed è qualcosa che ho imparato scrivendo burp!, quindi in fondo il cerchio si chiude. In tutto ciò non posso esimermi dal ringraziare chi mi ha letto, chi mi ha incoraggiato, e chi ha ospitato questa cosa un po’ folle, da Marco Bolasco ad Anna Prandoni. Non era affatto scontato.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter