L’uomo dell’Ue per l’Artico si chiama Michael Mann, di origine britannica e con cittadinanza tedesca Mann è stato l’ex corrispondente del Financial Times a Bruxelles e poi portavoce dell’Alto Rappresentante Ue, Catherine Ashton. Dall’Aprile 2020 ha abbandonato il suo posto di ambasciatore Ue a Reykjavik per assumere l’incarico di inviato speciale dell’Ue per le questioni relative all’Artico. Gran parte del suo lavoro, confessa Mann, è creare visibilità all’interno dell’Ue per convincere gli Stati membri sulle grandi sfide che riguardano la regione come il cambiamento climatico, la presenza militare russa e l’insorgere una nuova grande potenza artica: la Cina. Se l’Europa riuscirà a imporre le sue priorità e i suoi valori nella regione polare non è sicuro, ma a Mann una cosa è chiara: «Se non sarà l’Ue a farlo, sarà qualcun altro».
Perché è necessario che tutti gli Stati membri dell’Ue, e non solo quelli della regione, siano coinvolti nell’elaborazione della nuova strategia europea per l’Artico?
Perché ciò che accade nell’Artico avrà enormi effetti ambientali ed economici su ogni Paese del mondo, non in un futuro lontano ma relativamente presto. Se prendiamo sul serio la sfida al cambiamento climatico come la nostra grande priorità, allora dobbiamo affrontarla seriamente e se prendiamo seriamente anche il ruolo geopolitico dell’Ue, dobbiamo tenere conto che ciò che sta accadendo nell’Artico sta accadendo in un pezzo d’Europa.
L’ultima direttiva sulla politica europea per l’Artico risale al 2016, cosa è cambiato da allora?
Stiamo elaborando la nuova strategia dell’Ue per l’artico in questi mesi, dovrebbe essere ufficiale da ottobre 2021. Nel testo non compariranno molte questioni nuove ma piuttosto i vecchi problemi che col tempo sono diventati molto più gravi. Nel frattempo però anche i nostri strumenti economici, politici e tecnologici sono avanzati e le nostra visione per l’Artico deve essere aggiornata in tal senso. Oggi ad esempio abbiamo l’Eu Green deal e sarebbe insensato avere una strategia per l’Artico che non tiene conto dei nostri nuovi obiettivi di sostenibilità e taglio delle emissioni.
Sostenibilità e cambiamento climatico quindi dominano l’agenda europea per l’Artico?
Su questo bisogna essere prudenti, certamente l’Artico è la regione in cui il cambiamento climatico impatta in maniera più drastica, ma l’agenda per l’Artico è molto più complessa. Le condizioni climatiche rendono la zona sempre più accessibile e navigabile il che potrebbe avere vantaggi commerciali ma rende anche le grandi nazioni artiche come Russia, Canada o gli Stati Uniti più vulnerabili e quindi più nervose sulla difesa dei loro confini.
Qual è l’atteggiamento di Mosca nei confronti della presenza europea nell’Artico?
Certamente nell’ultimo periodo abbiamo visto una crescita della presenza militare russa, un fenomeno che sembra in linea con la strategia dell’amministrazione Putin di recuperare il terreno perso con la caduta dell’Urss. Questo ha portato ad una reazione della Nato che oggi organizza esercitazioni militari più frequentemente, con anche l’invio di navi da guerra americane.
La sicurezza militare d’altronde non è un dossier che l’Ue gestisce direttamente, ma dal mio punto di vista è comunque è possibile osservare che la cooperazione tra occidente e Russia nell’Artico è forse una delle più funzionali e non sembrano esserci rischi impellenti di tensioni. Il programma della presidenza russa di turno dell’Artic council per esempio è scritto con un linguaggio molto simile al nostro, include infatti la lotta al cambiamento climatico i diritti delle popolazioni indigene e il coinvolgimento delle Ong. Certo starà a noi monitorare che queste non siano solo parole ma che Mosca passi ai fatti.
La Russia non nasconde di vedere nell’apertura delle rotte commerciali artiche una grande opportunità per il futuro, non ci sono frizioni a riguardo?
Sì, alcuni problemi stanno sorgendo nella questione del controllo delle rotte commerciali che potrebbero aprirsi grazie allo scioglimento dei ghiacci, la Russia certamente vuole essere alla testa della processo di sviluppo e gestione delle rotte artiche, che si estenderebbero principalmente vicino alle sue coste. Mosca spera di capitalizzare sia nello sviluppo di infrastrutture che nella richiesta di pedaggi per l’utilizzo delle sue rompighiaccio. Va detto però che sono rotte a cui le compagnie europee di navigazione non sembrano ancora troppo interessate dato che le incognite per ora superano i benefici. Al contrario invece la Cina sta già investendo molto nello sviluppo porti commerciali e partnership con la Russia.
Anche la Cina è una potenza artica?
Propriamente no, ma Pechino si autodefinisce una potenza di “prossimità artica”. La Cina sta investendo enormemente nell’Artico, in vari settori tra quello dell’estrazione delle materie prime. Pechino ha stretto accordi commerciali e partnership tecnologiche con Mosca, specialmente per l’estrazione ed il trasporto di gas naturale. La partnership sino-russa nell’Artico ha aumentato d’intensità dopo l’approvazione delle sanzioni europee contro la Russia, un’opportunità che la Cina ha saputo sfruttare a proprio favore rimpiazzando gli investimenti europei.
Lo sforzo cinese di aumentare la propria influenza sull’Artico è in linea con la sua strategia globale, non è certo una peculiarità dell’artico, tuttavia non può essere sottovalutato. Nel mio precedente incarico come ambasciatore Ue a Reykjavik ricordo che l’arrivo di un ambasciatore cinese con un ottimo livello di islandese parlato e scritto fosse già un segnale molto chiaro sulle intenzioni di Pechino di fare sul serio.
C’è un modello europeo alternativo di sviluppo dell’Artico quindi?
La lotta al cambiamento climatico è quello che suscita maggiore interesse nei Paesi dell’Unione ma l’artico in realtà nasconde anche molte opportunità. Dobbiamo mettere in campo un modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente e delle comunità locali, ci sono popolazioni che vivono nell’Artico la cui unica possibilità non può e non deve essere l’emigrazione, meritano sviluppo, occupazione e rispetto. Serve migliorare le infrastrutture critiche come l’estensione del 5G a tutta l’area che non era ipotizzabile anni fa ma oggi è possibile grazie alla connessione satellitare.
L’Artico può diventare un laboratorio di sviluppo sostenibile dove il rispetto delle tradizioni e della cultura delle popolazioni locali può essere combinato alle nuove tecnologie di estrazione mineraria e moderne infrastrutture logistiche che potrebbero garantire all’Europa accesso ai minerali ed alle risorse critiche che la rendono oggi dipendente da altre potenze. Con l’approvazione del Green deal europeo è e grazie all’impegno della Commissione e degli stati membri è chiaro che i fondi ci sono, ora serve la volontà politica e una visione strategica comune.