«Davanti a quelle immagini, un nodo alla gola. E il pensiero della Costituzione calpestata. La vera svolta ci sarà quando finalmente tutti comprenderanno che un carcere è davvero un luogo di comunità. A ogni immagine è aumentato il mio scoramento e anche il mio sconcerto». È la reazione della ministra della Giustizia Marta Cartabia dopo aver visto i video dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile dell’anno scorso.
Certo, l’autorità giudiziaria ha ancora tutte le responsabili da accertare, ma davanti a quelle immagini la Guardasigilli pensa «all’offesa e all’oltraggio per la dignità dei detenuti, ma pure per la divisa che ogni uomo e ogni donna deve portare con onore», dice in un colloquio con Repubblica.
Le carceri le conosce bene Marta Cartabia. Da presidente della Consulta, ha raccontato tante volte dei suoi incontri con i detenuti di San Vittore per parlare di Costituzione. Conosce la sofferenza, aumentata ancora di più in quest’anno di tensione e paura. Per i detenuti e gli agenti. «Un’unica comunità», dice.
Il turbamento di Cartabia nasce dalla consapevolezza che ben altro è il volto della polizia penitenziaria. Non è quello di questi fotogrammi, ma di tutti coloro che ogni giorno con «dedizione, pur tra tante difficoltà, portano avanti il loro delicato compito. E nell’ultimo anno, l’hanno fatto esponendosi anche a rischi personali di contagio».
La ministra ripete che «no, tutto questo non può succedere più. Vanno accertate e rimosse le cause di quanto successo. E serve intensificare l’impegno sulla formazione permanente di tutto il personale dell’Amministrazione penitenziaria». Richiama quello che ha detto alla festa della polizia penitenziaria due settimane fa: «Nessuna violenza può mai trovare giustificazione né tolleranza. Ogni violenza dovrà essere condannata, fermata e punita. Ma soprattutto prevenuta».
La ministra ha convocato già il capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Dino Petralia, e il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma. «Ho provato un nodo alla gola guardando quel video. Confesso che non volevo neppure credere alle immagini che scorrevano davanti ai miei occhi», spiega. «Ma com’è possibile picchiare un uomo che sta in ginocchio? Com’è possibile aggredirne un altro che sta seduto su una carrozzina?».
Esterna la sua preoccupazione «di fronte all’alto numero di agenti coinvolti che agiscono davanti alle telecamere di sorveglianza». E intanto organizza quella che deve essere la risposta. Su questi precisi fatti, ma anche in una prospettiva più ampia nel tempo.
La ministra ha chiesto un rapporto su come possano essere accaduti i fatti contestati dalla procura nel carcere campano. A Petralia e Palma Cartabia chiede con insistenza informazioni sulla catena di comando che ha consentito un’azione del genere. Vuole capire bene cos’è successo in quei momenti, dalla rivolta del giorno prima per via di un malato di Covid, alla reazione del giorno dopo. Soprattutto, e lo dice espressamente, vuole capire perché «nel carcere di Santa Maria c’erano agenti che venivano da fuori».
Il messaggio da diffondere al Paese, dice, è che «oltre quegli alti muri di cinta delle carceri c’è un pezzo della nostra Repubblica, dove la persona è persona, e dove i diritti costituzionali non possono essere calpestati». Per questo non solo «va fatta chiarezza fino in fondo», ma ci deve essere anche «la garanzia che fatti del genere non si ripetano mai più». Perché «non si può tradire così la Costituzione».
Intanto si procederà tempestivamente anche al ripristino dell’intera rete di videosorveglianza attiva negli istituti. Mentre l’amministrazione penitenziaria ha sospeso tutti i 52 indagati. Per 23 di questi la sospensione dal lavoro era già stata disposta dal gip. Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha deciso di estendere il provvedimento a tutti gli agenti. Oltre ai 23 già sospesi, otto sono in carcere, 18 agli arresti domiciliari e tre sottoposti all’obbligo di dimora.