Questa settimana nella nostra rassegna stampa non possiamo che iniziare raccontandovi del nuovo documentario sulla vita di un cuoco e personaggio televisivo che, attraverso la sua cucina, i suoi viaggi e i suoi programmi, raccontava le culture del mondo, prima della sua scomparsa nel 2018. Rimanendo in tema grandi cuochi, uscirà tra poco il documentario che racconta la vita di una chef dinamica e fuori dal comune. E, come ultima notizia, vi proponiamo la storia di una famiglia che, durante i vari lockdown, ha potuto cucinare insieme anche a migliaia di chilometri di distanza.
Si chiama “Roadrunner” il nuovo documentario prodotto da Morgan Neville sullo chef Anthony Bourdain, uscito a distanza di tre anni dalla morte dello chef. In una intervista al produttore del documentario, Helen Rosner del New Yorker scopre come Bourdain fosse alla ricerca costante della felicità, quasi fosse un’ossessione che lo tormentava e lo consumava. Il documentario, in cui Bourdain viene presentato in tutte le sue luci e ombre, ripercorre la sua vita a partire dal momento in cui iniziò la sua vita sotto i riflettori, con immagini inedite e interviste ad amici e parenti. Ma, oltre ai contenuti biografici, è anche una particolare scelta stilistica e giornalistica a far parlare del film. Per ricreare la voce di Bourdain e riprodurre cose che ha realmente detto in svariate lettere e mail, il regista si è avvalso di un’azienda di software, inviando loro numerose registrazioni (già esistenti) della voce dello chef, perché loro potessero ricostruirla con strumenti digitali. Nel documentario, quindi, assisteremo ad alcune scene in cui sentiremo la voce di Anthony Bourdain, riprodotta però grazie all’intelligenza artificiale. Impressionante? Rivoluzionario? Quel che è certo è che è stato creato un precedente (pericoloso?) nel mondo della produzione cinematografica, del giornalismo e non solo, per cui le registrazioni audio potranno sempre essere sospettate di essere finte, e per cui non si saprà discernere una voce prodotta artificialmente da una vera.
Da documentario a documentario, continuiamo la nostra rassegna stampa, oggi in parte cinematografica, ma pur sempre sul tema della cucina. Eater ci parla e ci mostra il trailer, appena rilasciato, sul documentario intitolato “Julia” (di cui ancora non si conosce la data di rilascio). Si tratta naturalmente della storia di Julia Child, la grande cuoca che ha rivoluzionato la cucina americana, aiutando i cuochi di casa ad imparare i segreti della cucina francese, per poi diventare uno dei primi personaggi dei programmi televisivi sul cibo. Avremo finalmente a disposizione ulteriori informazioni sulla vita di Julia Child, nonché immagini e video inediti, per approfondire la nostra conoscenza su chi, come lei, ha avuto un ruolo fondamentale nel mondo della cucina. Certo, la biografia della Child, pubblicata postuma da suo nipote, già esiste, ma il documentario “Julia” ci darà la possibilità di ammirarla attraverso le tante riprese delle scene in cui si trovava ai fornelli, mentre lavorava con spensieratezza facendo apparire tutto così semplice (e squisito).
È del The Guardian l’ultimo pezzo che vi riportiamo, dove Rahul Raina ci racconta della sua esperienza passata in cucina durante i lockdown. L’autore, residente nel Regno Unito, ha una nonna che si trova in India e, nonostante la grande distanza che li separa, i due non hanno voluto rinunciare a vivere dei momenti culinari insieme. Infatti la nonna di Raina ha potuto insegnargli innumerevoli piatti della cucina kashmiri grazie all’utilizzo di Whatsapp, dove, in dirette video, mostrava le tecniche, le procedure e gli ingredienti da usare nella creazione dei piatti. Perché, pur essendo la cucina kashmiri non particolarmente difficile da riprodurre, necessita comunque della conoscenza di tecniche e gesti che vengono tramandati di generazione in generazione, e che possono essere trasmessi solo visivamente, di persona o tramite un video. Una esperienza che ha toccato profondamente Raina e sua nonna, e che ci ricorda dell’utilità della tecnologia anche in cucina, anche quando siamo a migliaia di chilometri di distanza dal nostro interlocutore.