«A morte il comunismo!»Le vere ragioni della protesta contro il regime di Cuba

Da decenni la dittatura castrista si è rifiutata di fare le riforme economiche e di allentare la forte pressione repressiva. Per sopravvivere, L’Avana conta sul turismo (anche sessuale) europeo e americano, ma le restrizioni anti-covid hanno diminuito gli accessi all’isola, facendo contrarre l’economia dell’11%. La debolezza delle manifestazioni è dovuta a una fragile opposizione politica interna priva di leadership

LaPresse

«A morte il comunismo!». Non nascondiamo che ci fa piacere sentire questo slogan gridato nelle strade dell’Avana da migliaia di manifestanti alla faccia dei tanti simpatizzanti di casa nostra del castrismo. Ci ricorda che l’anti comunismo non è un valore dì ieri, decaduto con la fine ingloriosa dell’URSS. Al contrario, è un obbligo politico e morale più che attuale, in un pianeta nel quale ben più di un miliardo di esseri umani vive sotto il giogo e l’oppressione del partito che fu di Lenin, di Stalin, di Mao e di Fidel Castro.

Questo slogan contro la dittatura comunista  accompagna in questi giorni migliaia di manifestanti scesi nelle piazze di tante città cubane esasperati non solo dalle file per il pane e i beni di prima necessità che non si trovano (tranne per i privilegiati della nomenclatura che li pagano in dollari), ma anche per il clamoroso fallimento della campagna governativa di contrasto al Covid. Dunque, è crollato miseramente anche il mito, tanto caro ai terzomondisti filo cubani di mezzo mondo, della straordinaria eccellenza del sistema sanitario cubano. Dopo avere esportato col suono della grancassa propagandista, anche in Italia, l’anno scorso, i medici della Brigata Henry Reeve, fonte peraltro di un qualche rientro economico, Cuba ha oggi perso platealmente il contrasto al Covid dentro i suoi confini. Un fallimento impietoso e indicativo. 

La realtà è che da decenni il regime cubano si è rifiutato non solo di allentare la forte pressione repressiva, ma soprattutto di effettuare serie riforme economiche perché si è affidato per sopravvivere alla bene meglio sulle entrate non disprezzabili del turismo europeo e americano, con forti e indecenti caratteristiche di turismo sessuale. Cessati i flussi turistici a causa delle restrizioni imposte dal Covid, l’economia dell’isola è crollata contraendosi dell’11%. 

Naturalmente, a fronte delle manifestazioni non solo è scattata la repressione con centinaia di arresti,  ma anche l’invito perentorio «a tutti i rivoluzionari e comunisti» del presidente Miguel Diaz Canel, succeduto tre anni fa a Raoul Castro, «a scendere nelle piazze per contrastare i controrivoluzionari pagati dagli Stati Uniti». Un chiaro invito ad aizzare la guerra civile, fingendo che il malcontento popolare sia solo una manovra «dell’imperialismo yankee».

Uno scenario che peraltro dimostra quanto sia stato a suo tempo, e non per la prima volta, velleitario e inconcludente Barack Obama che il 20 marzo del 2016 decise di fare una storica visita all’Avana senza chiedere alcuna controparte a Raoul Castro che rispose così alla richiesta di una giornalista americana di maggiore rispetto dei diritti umani: «Noi ad esempio rispettiamo i diritti umani del garantire la salute a tutti quanti, così come l’istruzione libera e gratuita. Lei trova giusto che una donna guadagni meno di un uomo? Non è anche questo un diritto umano? Potrei farle molti esempi di paesi che non rispettano questi diritti. Venire qui a parlare di prigionieri politici e diritti umani non è giusto, è scorretto».

Naturalmente, la debolezza delle manifestazioni contro il regime cubano di questi giorni è tutta nella fragilità di una opposizione politica interna, non solo duramente repressa, ma anche priva di leadership. In una Cuba che conta 11,3 milioni di abitanti, la vera opposizione politica è imperniata infatti nel milione di cubani esuli in Florida che hanno tutti ottenuto la cittadinanza americana. Una diaspora imponente che ha una sola arma di pressione: impedire con successo attraverso i suoi rappresentanti che il Congresso americano voto la fine dell’embargo.

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