Fin dalla finalizzazione della Brexit, ci si interroga su quale possa essere l’evoluzione della relazione tra Regno Unito e Balcani occidentali, regione che sulla carta non dovrebbe avere altro futuro se non entrare nell’Unione europea.
Londra ha dato fin da subito segnali di voler agire in assoluta autonomia, non più costretta a (fingere di) allineare la propria azione e i propri obiettivi a quelli di quel blocco continentale che, stando alla retorica Leave, ha imbrigliato per più di quattro decenni il potenziale della politica estera del fu impero dei mari. Sicché oggi a Londra si favoleggia di Global Britain, il tentativo di recuperare la grandeur perduta.
Si inserisce in questa ambizione anche una recente offensiva in Serbia, che lascia prefigurare quello che potrebbe essere l’approccio della diplomazia inglese alla regione balcanica.
Sorprendendo tanti osservatori che si aspettavano un graduale disimpegno di Londra dai Balcani occidentali, come suggerito dalla Integrated Review, il documento di 114 pagine dove l’amministrazione di Boris Johnson ha delineato le proprie priorità sulla scena internazionale, a metà giugno il Segretario della Difesa Ben Wallace si è recato in visita in Serbia.
Perché l’evento dovrebbe essere così sorprendente? Perché si è trattato della prima visita in assoluto di un ministro della Difesa inglese alla Serbia, come notato da New Eastern Europe. Un’eccezionalità che è stata valutata quasi come una ripresa di quella forte presenza che il Regno Unito manteneva nell’area all’inizio del secolo scorso.
Questo sentimento è stato prontamente intercettato dal presidente serbo, camaleonte funambolico delle relazioni internazionali, che ha colto la palla al balzo per esprimere il desiderio che il rapporto tra Belgrado e Londra possa «riassestarsi a quel livello di intesa che abbiamo avuto durante entrambe le guerre mondiali». Niente di meno.
Uno sguardo dettagliato a quello che Wallace ha combinato in Serbia può fornire qualche indicazioni su cosa il Regno Unito vada cercando nella regione.
Sbrigate le formalità più prettamente diplomatiche, il rappresentante dell’amministrazione Johnson ha assistito all’esercitazione militare congiunta Serbia-Nato Platinum Wolf, nella cittadina di confine di Bujanovac. La maggior parte dei soldati Nato che hanno preso parte a questa esercitazione erano inglesi. Nell’occasione Wallace ha anche ricordato il sostegno prestato dal Regno Unito ai partigiani titini durante l’occupazione nazi-fascista del Regno di Jugoslavia.
Pochi giorni prima Londra aveva anche rinnovato il proprio impegno nella Kfor, la missione di peacekeeping a guida Nato in Kosovo, e organizzato degli incontri tra funzionari di alto grado nel porto di Bar, in Montenegro, in occasione dell’arrivo del gruppo da battaglia di una portaerei della Marina militare britannica. Tema: azione della Nato e sicurezza regionale.
Esercitazione militare in Serbia, partecipazione alla Kfor e dialogo di alto livello su temi di sicurezza in Montenegro: il Leitmotif che lega questi tre eventi è evidente.
Uscita dall’Ue e sbarazzatasi così degli oneri in campo diplomatico, politico ed economico comportati dall’interagire coi sei riottosi Stati della regione, nei Balcani Occidentali Londra ha ora in testa una cosa sola: la Nato.
Gli inglesi puntano a rafforzare la propria presenza nell’area nel contesto dell’Alleanza atlantica, agendo quindi esclusivamente sul piano della sicurezza.
Questo per molteplici ragioni, alcune delle quali facilmente intuibili.
Negli ultimi anni, specie dopo l’affaire Salisbury, il rapporto tra Regno Unito e Russia è molto teso. Contribuire allo sforzo euroatlantico di staccare Belgrado dall’abbraccio di Mosca è quindi una missione nobile e doverosa, agli occhi di Londra.
Inoltre, essendo il Regno Unito una potenza declinante (ancora più rovinosamente dopo la Brexit), la roboante e ambiziosa Global Britain si traduce soprattutto nel tentativo di rinverdire quella special relationship con gli Usa, da cui dipende molto del successo di Londra sulla scala planetaria. Anche negli Europei della geopolitica, il Regno Unito può ambire solo al secondo posto, dietro al Numero Uno.
Proprio per perseguire questo obiettivo, mostrarsi pronti a sporcarsi le mani nei Balcani occidentali, dove per ora solo tre Stati su sei appartengono alla Nato e tra i tre fuori figura il pesce più grosso, la Serbia, è una mossa intelligente. Washington sa sempre come ricompensare gli alleati più fedeli.
In terzo luogo, una finalità meno apertamente confessabile. È noto ormai come il processo di allargamento sia congelato, complici sia i deficit dei sei Stati balcanici che i tentennamenti di Bruxelles. Presentarsi come un partner occidentale disposto invece a investire risorse (naturalmente simboliche) in paesi che oggi si sentono abbandonati dall’Ue è anche un modo per coltivare una base di egemonia a buon mercato.