Il prossimo sindaco di Roma si chiamerà o Carlo o Roberto. Almeno questa è l’impressione dopo le prime battute di una lunghissima campagna elettorale e segnatamente dopo il primo confronto a quattro che si è svolto giovedì.
La vera sfida sarà tra chi, fra Carlo Calenda e Roberto Gualtieri, riuscirà ad andare al ballottaggio, dove si scontrerà con una figura inconsistente (e anche un po’ bizzarra) come quella del “destro” Enrico Michetti.
Virginia Raggi appare da tempo out, il fantasma della ragazza che cinque anni fa sbaragliò tutti nel segno del protesta: ma su questa non ha saputo costruire alcunché, come puntualmente accade ai populisti di un giorno.
La vera notizia del confronto di giovedì è stato il comportamento di Michetti. Che se n’è andato per protestare contro «una rissa» che ha visto solo lui. In pratica, “si è dato”, come si dice a Roma. Evidentemente non gli piace discutere. Non risponde alle domande, trincerandosi dietro una grottesca evocazione della Roma imperiale.
Ha fatto sorridere quando ha detto che «bisogna semplificare, come ha fatto Michelangelo. La Pietà non è una grande semplificazione?»: ma gliel’ha suggerita Sgarbi ‘sta stupidaggine?
Michetti non conosce i problemi della Capitale, e si vede. Lo hanno tirato fuori da una radio privata che ha molto successo tra i tifosi di Roma e Lazio (non è poco) illudendosi che questo basti. Al primo turno Michetti prenderà certamente i (tanti) voti dei meloniani, buoni per arrivare in testa al ballottaggio ma assolutamente insufficienti per vincere: il tipo non è in grado di parlare fuori dal recinto della destra-destra romana.
Giorgia Meloni ha probabilmente puntato su un cavallo sbagliato – possibile che non ci fosse uno più bravo? – e se pensa di gonfiargli le vele con il vento della propaganda No Vax sbaglia di grosso. Perché i romani, estenuati dal “raggismo ”, vogliono soluzioni. Con le proteste hanno già dato.
Roberto Gualtieri e Carlo Calenda si disputano lo stesso elettorato progressista e di sinistra, con il primo che ha alle spalle la residua forza organizzata del Partito democratico e il secondo più appeal mediatico e maggiore conoscenza delle questioni. Ma è chiaro che alla fine vincerà chi dei due saprà parlare alla Roma fuori dalla politica, a partire dai tanti elettori che votarono Raggi rimasti delusissimi e in cerca di una nuova offerta politica e programmatica.
Vincerà anche e soprattutto chi saprà parlare a quei pezzi di società romana che (purtroppo) vedono la politica come il problema e non come la soluzione. “Politica” a Roma è una parolaccia ormai da anni (in senso lato, lo è da secoli) e vincerà chi saprà ammantare la politica di progetti e dare la sensazione di sapere come realizzarli.
Nulla è sicuro ma solo probabile. Così è più che legittimo ritenere che gli elettori di un Calenda che non dovesse andare al ballottaggio voteranno Gualtieri al secondo, e viceversa. È vero che il centrosinistra è posseduto dal démone della divisione e della rivalità interna ma è certo che gli elettori sono, da questo punto di vista, migliori dei dirigenti.
Gualtieri e Calenda dovranno perciò stare molto attenti a non sbranarsi tra di loro se non vogliono alimentare una distanza fra i rispettivi elettorati che si rivelerebbe poi fatale al secondo turno, ma qui la rivalità tra i due ex ministri già si avverte a pelle.
Il Partito democratico romano detesta Calenda, quest’ultimo dà per scontata questa ostilità e non fa nulla, anzi, per calibrare la sua dialettica senza rompere. È d’altra parte un equilibrio difficilissimo e forse l’impostazione iniziale delle rispettive campagne dovrebbe su questo punto essere un po’ rivista perché fin d’ora i voti entrambi li devono pescare nella grande area non politicizzata, fuori dalla sinistra.
Concludiamo con un nota su Virginia Raggi. Per la seconda volta negli ultimi decenni il sindaco uscente non verrà confermato: era successo a Gianni Alemanno, il che è tutto dire. Raggi sarà ricordata come l’emblema della parabola di un movimento politico gradualmente finito nel nulla o quasi, vittima della presunzione e schiava della incompetenza. Forse è vero che in alcune zone della Capitale Virgy ha costruito una buona immagine e riasfaltato qualche strada, ma di lei restano negli occhi una avveniristica funivia che mai si farà e cumuli di spazzatura sorvolati da uccelli che nemmeno in Africa centrale. Sa di non poter promettere nulla, perché non è credibile. Ancora pochi mesi di resistenza e Roma volterà pagina, con la sconfitta del populismo dell’estrema destra e del grillismo che fu. Se i romani hanno testa.