La sinistra in PalioIl cervellotico e autolesionista rifiuto del Pd di appoggiare Bentivogli a Roma

La candidatura dell’ex sindacalista alle suppletive di Primavalle è osteggiata dal segretario del Partito democratico Enrico Letta perché non è espressa dai dem. Ma allo stesso tempo chiede un appoggio alle forze riformiste per la vincere il seggio di Siena

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Nello strano incrocio Siena-Roma succede che nella città del Palio il Partito democratico chieda (e ottenga) un sostegno unitario alla candidatura del suo segretario Enrico Letta mentre nel collegio di Primavalle (suppletive per la Camera) dica no a una lista unitaria per la candidatura di un nome peraltro al Nazareno molto stimato come quello di Marco Bentivogli. Sembra un atteggiamento un po’ ingeneroso, per non dire schizofrenico. 

Singolare è l’argomento usato da Letta per spiegare la sua contrarietà a una candidatura al leader di “Base Italia”, esponente riformista di grande equilibrio, alle suppletive nel collegio di Roma Primavalle che si terranno in autunno insieme alle amministrative: i dem non possono appoggiare un candidato rilanciato tra gli altri da Carlo Calenda, competitor di Roberto Gualtieri, l’elettore dem rischierebbe di rimanere disorientato. 

Si tratta dunque di una motivazione tutta politica che però rischia di essere un po’ (molto) cervellotica: un conto è il livello delle amministrative, un altro quello delle elezioni politiche. Quante volta è accaduto, anche al Pd, di esprimere valutazioni distinte? Per decenni i comunisti hanno votato sindaci socialisti mentre erano all’opposizione del governo centrale di cui il Psi faceva parte, e viceversa. 

Quando la distinzione dei livelli istituzionali era molto chiara, certe teorie non reggevano: si vota il candidato ritenuto migliore, punto e basta. Ma poi non bisogna andare tanto lontano: a Siena i voti per Letta di Italia viva (che a Roma sostiene Calenda) e dei grillini (che sostengono Raggi) non fanno tanto schifo, e a Milano i dem votano Beppe Sala che chissà cosa voterebbe a Roma: ma che discorsi sono?

Il rifiuto (vedremo quanto irremovibile) di contribuire a una lista unitaria a Roma certo cozza con la richiesta erga omnes da parte di Enrico Letta di un appoggio a Siena, appunto, unitario. Due pesi e due misure.

Nel collegio della città del Palio dove si presenterà il segretario del Pd il fatto nuovo dell’appoggio di Matteo Renzi non è di poco conto. A parte che il leader di Italia Viva avrà il suo bel da fare per convincere i suoi a votare per un segretario dem che ai loro occhi finora non ha mostrato né di voler voltar pagina rispetto all’alleanza più o meno strategica con il Movimento 5 stelle né una particolare empatia verso i renziani («quella roba lì»), la scelta di Renzi si spiega con varie motivazioni. 

Appoggiare Letta significa svelenire un rapporto che è teso da sempre, e non si tratta solo della questione personale resa immortale dal famoso «stai sereno» ma di questioni politiche e programmatiche anche relative al territorio; pone in sicurezza l’elezione di Letta, non correndo il rischio di consegnare il collegio alla destra; evita, nel caso catastrofica della bocciatura del numero uno del Nazareno, una improvvisa crisi al vertice di un partito-chiave della maggioranza di governo, visto che Letta stesso ha chiarito che in caso di mancata elezione si dimetterebbe da segretario.

Sarà anche vero quello che dice il dem Dario Parrini, grande esperto di meccanismi elettorali («È un seggio blindato») però in politica, come in amore, i gesti contano. Il gesto, Renzi, l’ha fatto, e non era nelle previsioni dei più.

Può essere anche un segnale nazionale? Ė presto per dirlo. È chiaro che il Pd vuole fare il pieno, a Roma con Gualtieri e a Siena con Letta, ed è del tutto comprensibile che abbia voglia di vincere anche con maggioranza diverse (come detto, nella Capitale è contro la Raggi ma anche qui ben vengano i voti grillini a Siena). 

A Primavalle si era ventilato che avrebbe potuto correre Giuseppe Conte, che poi ha capito che è meglio non correre rischi, e chissà se in quel caso il Nazareno avrebbe fatto lo stesso ragionamento che oggi fa per Bentivogli (separati alle Comunali ergo separati alle suppletive). 

Comunque nel collegio Roma11 si parrà la nobilitate un po’ di tutti. Dei riformisti, se saranno capaci di mettere in piedi una piattaforma politica credibile rappresentata da Marco Bentivogli; e dei dem che al di là degli schematismi potrebbe costruire un asse politico di tipo nuovo e puntare ad aggiudicarsi un collegio difficilissimo. 

L’ex leader della Fim per il momento non si sbilancia, dopo aver criticato il modo in cui il suo nome è venuto fuori. La questione non sembra chiusa e ci saranno presto contatti tra i vari leader. Quel che è certo che un riavvicinamento politico e psicologico fra Pd e Renzi e Azione rimescolerebbe qualche carta sul tavolo verde della politica italiana,ad esempio relativizzando il ruolo di un M5s in crisi di identità e di leadership. È un percorso che può partire da Siena e giungere a Roma. Ma il copione è ancora tutto da scrivere.

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