È trascorso un anno dalla sanatoria promossa da Teresa Bellanova per regolarizzare i lavoratori stranieri di tre settori, agricoltura, lavoro domestico e assistenza alla persona. Ad agosto 2020 erano stati diffusi i dati: 220mila domande, di cui l’85% pervenuto da colf e badanti. Eppure, a giugno 2021, solo il 5% delle domande si è concluso con una valutazione definitiva da parte delle istituzioni. È quanto è stato raccontato dal rapporto della campagna “Ero straniero”, sulla base degli atti del Viminale, e quanto elabora più nel dettaglio, attraverso la raccolta di una serie di testimonianze, lo studio “Una Sanatoria tanto (dis)attesa?” a cura dei ricercatori dell’Università degli Studi di Milano.
Nonostante la sanatoria sia stata una misura «fortemente attesa, tanto dai cittadini/e stranieri/e, che dai datori e dalle datrici di lavoro, così come dalle organizzazioni della società civile impegnate nel campo dei diritti dei migranti», si legge infatti nella ricerca, alla prova dei fatti la misura ha avuto diverse forti limitazioni. Di cui la percentuale di domande processate (ancora bisogna sapere quante siano state effettivamente accettate o respinte) è solo un indicatore.
Fra i limiti più importanti, ad esempio, «quello rappresentato dai settori occupazionali, che hanno escluso dalla possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro molti cittadini stranieri impegnati in settori che, sebbene rispondenti a reali esigenze del mercato del lavoro locale, non erano previsti dalla sanatoria», si legge nella ricerca. Esempi ne sono «categorie anche molto grandi, come quella dei rider, oppure quella dei lavoratori nella ristorazione o nei cantieri», come spiega a Linkiesta Minke Hajer, ricercatrice fra gli autori dello studio.
La sanatoria prevedeva due canali di regolarizzazione: l’emersione dei lavoratori in nero attraverso l’autodenuncia del datore di lavoro, oppure il permesso temporaneo per coloro che ne avevano uno già scaduto. In entrambi i casi, l’immigrato doveva essere presente sul territorio nazionale prima dell’8 marzo 2020 e non doveva essersi allontanato dopo la stessa data.
«La prova di presenza era fra i requisiti più difficili da ottenere. Nelle sanatorie passate bastava una tessera associativa di una scuola di lingua o simili, ma in questo caso non era chiaro. Le uniche prove sicure erano un biglietto o un timbro con una data nel passaporto. Qualcuno ci ha raccontato di aver avuto la ‘fortuna’ di dover andare al pronto soccorso, così aveva un documento con una data», spiega Hajer. Discorso simile per l’idoneità abitativa, ovvero la prova di vivere in una casa di dimensioni sufficienti in rapporto al numero di inquilini. «Si tratta di un documento molto difficile da ottenere, perché la maggior parte dei migranti irregolari abitano in case affollate, tranne le badanti che convivono con persone anziane», spiega ancora la ricercatrice.
Lo studio spiega come la documentazione da produrre per poter presentare domanda fosse corposa, e spesso complessa da interpretare per gli stessi avvocati ed esperti del settore. È stato anche per via della mole di documenti da controllare, infatti, se i prefetti non sono riusciti a star dietro alle domande, conducendo agli scarsi responsi di oggi. Nel frattempo, la difficoltà della procedura ha dato vita ad una serie di “mercati paralleli” di servizi di assistenza, dove frequenti sono state anche le truffe. «Posto che molte persone vogliono il permesso di soggiorno, ci sono stati sportelli che chiedevano prezzi fuori mercato per aiutare a compilare la domanda, o truffe di persone che chiedevano anche più di 1000 euro, senza poi presentare la documentazione. Vista la frammentazione burocratica intorno al tema, c’è chi se n’è approfittato», spiega Hajer.
Il risultato, naturalmente, è che a distanza di un anno le persone si ritrovano in un limbo di difficile risoluzione. Ed anche se «giova ricordare che molti dei limiti segnalati non siano (esclusivamente) imputabili ad un “provvedimento mal congegnato”, ma si pongano in continuità con questioni irrisolte riguardanti il governo dell’immigrazione in Italia», si legge nello studio, i ritardi registrati, «in una situazione di protratta emergenza sanitaria, rischiano di vanificare gli sforzi posti in essere da chi è faticosamente riuscito a guadagnarsi l’accesso ad una procedura che, seppur non semplice, aveva generato forti aspettative di miglioramento, inclusione e tutela».
Non è dunque scontato che prolungare l’attesa riesca comunque a portare al risultato sperato. «La domanda è qual è l’obiettivo: se si fossero volute regolarizzare il massimo numero di persone possibili, una sanatoria la si sarebbe strutturata in modo diverso, per esempio senza richiedere tutta questa documentazione. Questa misura è stata pensata per badanti e colf, non per grandi numeri. In questo senso un aspetto politico c’è. È importante però riconoscere che una sanatoria è stata fatta. Il fatto che sia stata data la possibilità alle persone in questi settori di regolarizzarsi va nella direzione opposta rispetto al trend di restrizioni che si registra a livello europeo. E questo è un segnale positivo», conclude la ricercatrice.