Risorse scarseL’Afghanistan ci insegna che Europa e Italia investono poco in difesa e in politica estera

Gli Stati Uniti destinano il 9,4% della spesa pubblica ai militari, da quest’altro lato dell’Atlantico ci si ferma al 2,6%. Aumentare i fondi dedicati alle questioni internazionali sarà molto difficile. Ancor di più nel nostro Paese, dove l’attenzione è dedicata da sempre alle faccende interne

Lapresse

Puntuale come mille altri dibattiti politico-mediatici ricorrenti, ecco tornare quello sull’esercito europeo dopo quello che a voler essere misericordiosi possiamo chiamare “l’affaire afghano”, nei fatti una disfatta strategica, militare, politica, culturale.

Il disimpegno americano, segno di una dottrina condivisa tra democratici e repubblicani che punta non solo a non ripetere il disastro del Vietnam, ma ormai neanche scenari di tipo iracheno, ha messo in evidenza l’assenza di una politica estera autonoma europea che sia improntata sulla diplomazia o sulle armi.

E tuttavia l’apparente unanimità che sembra circolare sul tema si scontra o si scontrerà anche in questo caso con le contraddizioni dei fatti e dei numeri. Un po’ come avviene con i corridoi umanitari da Kabul.

Oggi gli appelli rivolti al salvataggio dei civili afghani, in particolare donne, che vogliono fuggire dai Talebani sono tanto carichi di emozione e di afflati umanitari quanto in superficie condivisi da tutti. E tuttavia sono destinati a infrangersi sulle politiche anti-immigrazione appena la polvere degli eventi si sarà posata. Anzi, sta già accadendo come testimoniano le posizioni di diversi leader.

Allo stesso modo il consenso su una politica comune di difesa ha probabilmente vita difficile davanti alle gelosie nazionaliste, alle grandeur nazionali, all’inerzia di apparati burocratici miranti all’autoconservazione, anche in ambito militare, ma forse soprattutto davanti alla necessità di incremento della spesa in questo settore, che si renderebbe evidente non solo in casi estremi come la fine della Nato, come auspicato da Sergio Romano, ma anche solo per un suo ridimensionamento causato da un maggior disimpegno isolazionista americano.

E tale incremento di bilancio potrebbe essere superiore alle economie di scala che pure si verificherebbero con la nascita di un esercito europeo.

Perché oggi, a fronte del 3,4% del Pil destinato alla difesa Oltreoceano, nell’Unione europea per lo stesso scopo gli Stati dell’Unione spendono solo l’1,2%.

E se sul totale della spesa pubblica (mediamente più limitata negli Stati Uniti) Washington assegna una fetta del 9,4% ai militari, nella vecchia Europa ci si ferma al 2,6%.

Dati Eurostat 2019

Nel caso dell’Italia siamo sostanzialmente in media, con valori più alti rappresentati invece da Paesi piccoli come Estonia, Lettonia e Grecia, per ragioni evidentemente locali (ovvero il timore degli importanti vicini, rispettivamente Russia e Turchia) nonché dal Regno Unito, che però è ormai al di fuori dall’Unione europea.

Per il resto, sopra il valore medio vi è la Francia, che tuttavia rimane lontanissima dalle percentuali americane.

Nel tempo le cose non sono cambiate granché, al massimo si può scorgere un graduale calo della spesa.

Dati Eurostat

E anzi un po’ a sorpresa osservando i dati in valore assoluto si scorge un aumento, se il punto di partenza è il 1995, più pronunciato per l’Italia, soprattutto fino al 2009, quando si arrivò a un raddoppio delle cifre impegnate 14 anni prima.

Seguirono 5 anni di tagli, cui seguì un recupero che servì a mantenere la nostra spesa sul Pil a livello stabile e farla coincidere con la media europea, cui era inferiore negli anni ‘90, e che nel frattempo era in discesa.

Dati Eurostat

Per un’autorevolezza e un’influenza maggiore in campo internazionale però la quantità di risorse destinate alla difesa sono una condizione probabilmente necessaria ma non sufficiente. Soprattutto nel XXI secolo.

Se von Clausewitz diceva che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, lo stesso si può dire di quest’ultima e della diplomazia: sono un modo per combattere guerre e incrementare la propria influenza usando altre modalità, più moderne.

A patto di investirci.

L’Italia spenderà per la propria politica estera meno di 2,6 miliardi nel 2021, cui vi sono da aggiungere quest’anno 720 milioni per il sostegno al commercio estero, che però si ridurranno a poco più di 300 il 2022 e 2023, così come del resto diminuirà il budget del Mae in generale, scendendo per le altre voci a 2 miliardi e 456 milioni l’anno prossimo e a 2 miliardi e 312 quello successivo.

Altrove l’andazzo pare diverso. La Francia destina in tutto 6 miliardi alla politica estera, la Germania 6,3.

Nel nostro caso il ministero degli Affari Esteri affermava nel 2020 che la spesa ammontava al 0,17% del Pil e al 0,33% di quella complessiva. Oltralpe si arriva perlomeno sul Prodotto Interno Lordo circa al 0,25% e rimaniamo anche al di sotto di Berlino nonostante il maggior Pil tedesco.

Ma c’è spesa e spesa. Più che quella destinata alle ambasciate, che pure è decisiva, contano forse le collaborazioni e l’assistenza ai Paesi esterni all’Unione, sia nel campo della cooperazione allo sviluppo che nell’ambito della difesa.

Anche qui l’Italia fa poco, o comunque meno di altri. Nell’assistenza militare dal 2014 vi è stato un balzo del nostro budget, che però rimane poco più della metà di quello francese in questo frangente, e soprattutto decisamente più basso di quello tedesco. È stata la Germania infatti ad accrescere gradualmente e silenziosamente il proprio ruolo, in particolare nella spesa per l’aiuto allo sviluppo, che comprende naturalmente non solo le azioni del ministero degli Esteri ma anche quello di altri dicasteri.

Secondo Eurostat Berlino assegna a questa voce 18,7 miliardi, raddoppiati in 10 anni, contro i 2 italiani e i 4,3 francesi.

Dati Eurostat

Una maggiore consapevolezza della Germania, la cosiddetta “egemone riluttante” del Continente, della propria importanza sul piano internazionale è stata probabilmente alla base delle maggiori risorse che il budget della Commissione Europea assegna alla politica estera comunitaria verso i Paesi vicini e il mondo, con 110 miliardi e 597 milioni stanziati per il 2021-27 su 1.212 e 518 milioni totali, poco meno del 10% del saldo complessivo.

Aumentare i bilanci di Esteri e Difesa a livello nazionale sarà difficilissimo, se non impossibile, soprattutto in Italia, dove la coperta è tradizionalmente cortissima, e l’attenzione è dedicata da sempre all’oggi, alle dinamiche politiche dei prossimi mesi e soprattutto a questioni interne, spesso regionali, neanche nazionali, figuriamoci internazionali. Afghani e libici del resto non votano né alle politiche né alle comunali di Roma e Milano.

Anche per questo, pure in questo caso l’unica speranza può venire da Bruxelles, e da un aumento delle risorse proprie della Commissione.

A patto poi che anche il capitale umano sia all’altezza. Ma tra un Talleyrand e un Di Maio le vie di mezzo accettabili in fondo sono molte.

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