«Ero già consapevole di cosa stesse succedendo sull’isola a cavallo tra dicembre e gennaio, ma quando ho visto i migranti dormire davanti al garage di casa mia ho avuto come una reazione». Tito Martin vive a Las Palmas, sull’isola di Gran Canaria, una delle sette che compongono l’arcipelago al largo delle coste dell’Africa, noto per i suoi flussi turistici ma dall’anno scorso anche per quelli migratori. Di professione fa l’autista per il sistema sanitario locale ma negli ultimi mesi è anche un volontario. Come tanti residenti, Tito presta assistenza ad alcuni dei profughi che hanno raggiunto le isole.
Territorio autonomo della Spagna, le Canarie fanno parte dell’Unione europea e sono diventate la nuova frontiera che chi lascia il continente africano tenta di raggiungere via mare per entrare in Europa.
Secondo le stime dell’Oim, l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni, dall’inizio del 2021 al 28 luglio sono arrivati sull’arcipelago 7533 migranti, un numero più alto se confrontato con le 3269 persone sbarcate nello stesso periodo dell’anno scorso. In tutto il 2020 si sono contati più sbarchi in assoluto, 23.000 profughi, la maggior parte arrivati nella seconda parte dell’anno.
I primi mesi del 2021 non si sono però rivelati meno difficili. Per far fronte al crescente numero di persone sbarcate, le autorità spagnole hanno allestito diversi campi, come quello di Las Raíces a Tenerife, il cui sovraffollamento e le cui scarse condizioni igieniche sono state denunciate dagli stessi ospiti e da più organizzazioni non governative.
Le conseguenze della pandemia, le restrizioni di movimento, le economie locali colpite dai successivi blocchi, l’insicurezza e il cambiamento climatico sono tra i fattori che guidano i nuovi spostamenti e che hanno aperto questa nuova rotta. Che si aggiunge a quella mediterranea, diventata più difficile da percorrere, e che si conferma anche la più tragica. Sebbene il numero di migranti arrivati sia alto, tanti sono quelli morti annegati nel tentativo di attraversare il tratto di Oceano Atlantico che separa l’Africa continentale dall’arcipelago delle Canarie.
Dal primo gennaio al 27 luglio 2021, l’Oim ha contato 251 morti, un numero superiore rispetto a quanto accaduto nella stessa finestra temporale del 2020, quando a perdere la vita in mare erano state 237 persone.
È difficile documentare i naufragi che avvengono lungo la rotta atlantica in direzione delle Canarie. Le fonti che forniscono dati sono limitate. A ciò si aggiunge la difficoltà nel documentare tutte le imbarcazioni che scompaiono senza lasciar traccia. Per questo che si teme che i morti siano più di quelli registrati negli elenchi pubblici.
La Ong “Caminando Fronteras”, in un report pubblicato l’8 luglio, stima infatti che ad aver perso la vita per raggiungere l’arcipelago nei primi sei mesi del 2021 siano state 1922 persone, contando tra le vittime sia i morti ufficiali che i migranti di cui non si sa niente da più di un mese. Il tributo di vite umane più pesante registrato su una rotta migratoria per la Spagna dall’inizio dell’anno.
Nella fase di maggiore emergenza e caos, vissuta nei mesi appena trascorsi, i cittadini delle Canarie non si sono voltati dall’altra parte.
Da marzo a giugno Tito ha preparato colazioni, offerto la rete internet, dato la possibilità di fare il bucato e di fare una doccia ai migranti che vagavano nel suo circondario, un quartiere operaio di Las Palmas. Li ha accompagnati dal dottore, quando c’è stato bisogno. E, soprattutto, ha offerto loro mucho amor, come ci tiene a precisare.
Insieme ad altri residenti ha dato vita all’associazione Somos Red, “siamo rete”, che ha assistito circa una quarantina di profughi, fornendo acqua e cibo. Oppure ospitando alcuni migranti, viste le condizioni al limite nei centri di accoglienza.
«L’anno scorso il sistema non era preparato a rispondere al gran numero di arrivi. Questo ha portato a preoccupazioni umanitarie e sanitarie. Le implicazioni dovute al covid hanno ulteriormente complicato la risposta», spiega l’Oim, che sta aiutando le autorità spagnole a gestire il centro di Las Canteras, a Gran Canaria. «Il governo ha rinnovato e ampliato le strutture dell’arcipelago per ospitare e assistere 7.000 migranti. Inoltre, vengono effettuati trasferimenti dalle strutture sulle isole ai centri specializzati in Spagna. Da Las Canteras ci sono circa 200 trasferimenti a settimana. Questo evita situazioni di sovraffollamento nelle strutture e permette migliori condizioni di vita per i migranti».
Ma secondo Tito niente è cambiato nella gestione. «Chi arriva è lasciato a sé stesso, non sa che fare, come impiegare il proprio tempo». Per offrire un’alternativa all’inattività forzata a cui sono costretti i profughi ospitati nei centri, Tito ha deciso di mettere a disposizione anche il garage di casa sua, dove un’altra residente, Isabel Florido, professoressa di traduzione e interpretazione all’Università di Las Palmas, insegna spagnolo.
«Non sono lezioni normali. Io e la mia collega Carmen abbiamo un approccio comunicativo, vogliamo insegnare ai migranti a comunicare cosicché possano vivere sull’isola. Cerchiamo di favorire l’integrazione e dar loro dignità attraverso la conoscenza della lingua». Quattro ragazzi massimo per classe, a causa delle restrizioni. Hanno tra i venti e trent’anni e vengono perlopiù dal Senegal, dal Mali e dal Marocco. «Sono motivata: i migliori studenti che abbia mai avuto, sono molto rispettosi».
Al momento la situazione, almeno a Gran Canaria, è tornata sotto controllo e sembra essersi attenuata la fase di emergenza che nei mesi scorsi aveva fatto temere uno scenario simile a quello che si verifica ormai da anni sull’isola di Lesbo, tristemente nota per i migranti accampati nei centri in uno stato precario.
Un nuovo picco di sbarchi è però atteso alle Canarie per settembre e ottobre, quando le condizioni del mare saranno migliori.