Mentre oggi si tiene il Consiglio di sicurezza dell’Onu sull’Afghanistan e Londra e Parigi trattano per creare corridoi umanitari per i profughi, il vicepresidente della Commissione Ue e alto rappresentante della politica estera dell’Unione Josep Borrell al Corriere dice che anche l’Europa ha le sue responsabilità e che è arrivato il momento di costituire una forza europea di pronto intervento, «perché gli americani non combatteranno più le guerre degli altri».
Ma sui flussi dei profughi, ora, l’Europa si divide. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ieri ha criticato i Paesi che si rifiutano di accoglierli. Mentre Borrell conferma che Bruxelles ora pensa anche di replicare il modello Turchia, finanziando i Paesi limitrofi come Uzbekistan, il Tajikistan, Pakistan e persino l’Iran per ospitare i rifugiati afghani. «Le persone che arrivano dall’Afghanistan non possiamo definirle dei migranti. Molti sono richiedenti asilo. Sono fuggiti da Kabul perché non volevano essere uccisi», precisa Borrell. Ma, dice, «sulle questioni relative all’Afghanistan dovremo aumentare la cooperazione con i Paesi limitrofi. Dobbiamo aiutarli di fronte alla prima ondata di rifugiati. Non è che gli afghani che fuggono arrivano per prima cosa a Roma, ma magari a Tashkent. I Paesi in prima linea vanno aiutati».
Torna il sistema della esternalizzazione delle frontiere: «La capacità di assorbimento dell’Europa ha dei limiti e senza una forte cooperazione non si può fare niente. I Paesi limitrofi saranno coinvolti più e prima dell’Europa. Dunque, sì: vuol dire anche dare a quel Paesi un sostegno finanziario come abbiamo fatto con la Turchia».
Secondo Borrell, il disastro in Afghanistan «è in primo luogo una catastrofe per gli afghani, un fallimento per l’Occidente e un punto di svolta per le relazioni internazionali. Ma è la fine della guerra? È la fine della presenza militare occidentale in Afghanistan. Non sono sicuro che gli afghani stessi non inizino a combattersi fra di loro. Ma di sicuro per noi questa non è la fine della questione, perché dobbiamo continuare a sostenere la gente in Afghanistan». E anche le tante persone da evacuare rimaste indietro. «Quelli che lavoravano con la Ue sono 520 e li abbiamo portati tutti al centro di raccolta di Madrid», spiega. «Ma quelli che lavoravano con la Ue e gli europei in passato o erano coinvolti, magari nella società civile, cercando di costruire un Afghanistan democratico? Fra loro, a migliaia non si è riusciti a evacuarli».
Borrell fa una grande autocritica sull’Europa: «Gli europei sono stati coinvolti dall’inizio nella guerra afghana, perché per la prima volta dopo l’11 settembre era stato invocato l’articolo 5 del Trattato Nato sulla difesa reciproca fra Paesi dell’Alleanza. Dall’inizio i membri europei della Nato hanno mandato le loro truppe – donne e uomini di grande valore – e abbiamo speso molto denaro. Detto ciò, come europei non abbiamo avuto un approccio chiaro e che fosse nostro. Il primo obiettivo era combattere Al Qaeda e lo abbiamo fatto. Poi c’era un secondo obiettivo più confuso: cercare di costruire uno Stato moderno. E in questi vent’anni qualcosa è stato fatto, non possiamo essere negativi su questo: fra l’altro, abbiamo permesso a tre milioni di bambine di andare a scuola. Ma la costruzione di uno Stato moderno non ha avuto tempo di mettere radici profonde. Dunque come europei abbiamo la nostra parte di responsabilità, non è stata solo una guerra americana».
Ma ora, spiega il vicepresidente della Commissione, «gli Stati Uniti non sono più disposti a combattere le guerre degli altri. È così. Quanto a questo, c’è un certo disimpegno dell’America dall’arena mondiale. Ma dobbiamo usare questa crisi per rafforzare la relazione transatlantica, rendendola più equilibrata. Non è il momento di disimpegnarci». E quindi, «come europei, dobbiamo usare questa crisi per imparare a lavorare di più insieme. E per rafforzare l’idea dell’autonomia strategica. Dovremmo essere in grado di muoverci anche da soli. Rafforzando le nostre capacità, rafforziamo la Nato».
Borrell propone una forza militare europea.«Ognuno dei Paesi Ue presenti in Afghanistan si è mobilitato attorno all’aeroporto di Kabul in queste settimane. Hanno cooperato fra loro e hanno condiviso le capacità di trasporto. Ma come europei non siamo stati in grado di mandare seimila soldati attorno all’aeroporto per proteggere la zona», ammette. «Gli americani ci sono riusciti, noi no. Per questa ragione nella ”bussola strategica” proponiamo la creazione di una “Initial Entry Force” europea che possa agire rapidamente nelle emergenze. La Ue dev’essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti. La nostra “First Entry Force” dovrebbe essere composta di cinquemila soldati in grado di mobilitarsi a chiamata rapida».
E contro i veti nazionali, «se non c’è unanimità, prima o poi un gruppo di Paesi deciderà di andare avanti da solo. I governi che lo vogliono non accetteranno di essere fermati». Si può fare, dice: «Possiamo lavorare in molti modi diversi. Molto si è fatto tramite accordi specifici che all’inizio erano fuori dal Trattato, come nella crisi finanziaria».