«Nonostante questi atti terribili, noi continueremo a evacuare gli afgani presenti in questo momento all’interno dell’aeroporto. Ne abbiamo ancora quasi 300 da portare in Italia con quattro voli, è quello che faremo. Certo non li abbandoniamo», dice il ministro della Difesa Lorenzo Guerini a Repubblica dopo le notizie degli attentati kamikaze a Kabul, che hanno causato la morte di almeno 90 persone, di cui 13 marine americani, e 158 feriti.
Ma quel che è ancora peggio, però, è che gli attacchi potrebbero essere solo un primo segnale di un nuovo incubo terroristico. «I servizi di informazione avevano più volte nelle scorse ore indicato questa minaccia che si è poi purtroppo concretizzata. Potrebbe essere l’avvisaglia di una crescita della minaccia terroristica in Afghanistan, ma è presto al momento per prefigurare una sua evoluzione», spiega il ministro. Ma «che su scala globale l’epilogo afghano possa avere riverberi su altre regioni, come il Sahel, penso sia possibile. Per questo la nostra vigilanza deve rimanere alta».
Quanto al rischio di infiltrazione dei terroristi nell’esodo dei profughi verso l’Italia e verso l’Europa, il ministro precisa: «L’attenzione della nostra intelligence e dei ministeri preposti è stata alta fin dalla preparazione dell’evacuazione».
Saranno le ultime 24 ore degli italiani a Kabul. Poi il contingente italiano lascerà definitivamente il Paese. Ma «siamo ben oltre l’obiettivo iniziale fissato, siamo a tre volte tanto», assicura il ministro. «E questo grazie all’impegno straordinario dei nostri militari. Le liste iniziali si sono ingrossate, allargandosi ad altri familiari, antichi collaboratori, giornalisti, attivisti, donne in prima linea. È chiaro che accanto allo sforzo per i tanti evacuati c’è anche il dolore per chi vorrebbe venire e non ce la fa».
Poi Guerini ragiona sulla difesa comune europea, tema molto dibattuto dopo gli eventi di queste settimane. «Le missioni europee sono già una realtà, specialmente nell’addestramento e nell’institution building. Ad esempio in Somalia e nel Sahel», dice. «Oggi il dibattito guarda oltre, è necessario un salto di qualità sul tema della sicurezza e della difesa europea. Penso a regioni in cui sono presenti anche i nostri interessi nazionali, a partire dall’Africa». Ma non significa necessariamente un esercito comune: «La difesa comune significa analisi condivisa della minaccia, agenda politica comune, costruzione di capacità militari e, se necessario, volontà di impiegarle».
Quello che è mancato in Libia, spiega. E il primo scoglio è l’unanimità richiesta in Europa per prendere le decisioni. «È evidente che le questioni di sicurezza richiedono tempestività nelle decisioni. I meccanismi decisionali devono tenerne conto e possono essere migliorati», dice il ministro. «I lavori per lo Strategic Compass – la bussola strategica europea – si concluderanno durante il semestre francese, dunque nei primi sei mesi del 2022. Per allora credo che vedremo questa accelerazione».
Ma non significa rinunciare alla Nato, secondo Guerini. «Da 70 anni l’ombrello della deterrenza e della dissuasione che protegge l’Europa è quello della Nato. E però questo non significa non riflettere su quanto accaduto in Afghanistan. Non significa che non vi siano stati errori», spiega. «Il contesto globale è cambiato radicalmente. Che Europa e Nato stiano ridefinendo parallelamente la propria visione strategica è emblematico. L’epilogo drammatico dell’Afghanistan non è elemento incidentale in questa riflessione. In 20 anni sono stati conseguiti risultati, ma altri obiettivi sono stati mancati».
Guerini spiega: «Le immagini viste penso diano il senso di una missione che si è conclusa in maniera drammaticamente negativa. Abbiamo contrastato al Qaeda e favorito il protagonismo della società civile afghana, allargando la sfera dei diritti di giovani e donne. Ma l’epilogo resta drammatico». Perché «nella costruzione delle istituzioni abbiamo fallito. Questo può essere un punto su cui l’Europa può efficacemente giocare la sua peculiarità, cioè un approccio che affianca alla dimensione militare l’investimento politico e la cooperazione».