Vino sul divanoIl tempo per bere, approfondire e stare offline

Anteprime anticipate, estati italiane, vini giapponesi e cambiamento climatico: per star dietro a tutte queste storie ci vuole impegno, ma per noi raccoglierle resta sempre un piacere, anche ad agosto

Illustrazione di Melanie Drent

Mi sono reso conto di recente che star dietro a tutto quello che succede nel vino è una gran fatica. Hey, non che si tratti di una novità, anzi: il mio è stato pensiero tutt’altro che improvviso, che però si è palesato un paio di settimane fa, dopo essere stato offline per qualche giorno e aver fatto una gran fatica nel ricomporre le fila relative a quelli precedenti.
Perché insomma, facile dire “vino”, meno seguire i tanti rivoli che questa semplice parola porta con sé. Ci sono le guide e i cosiddetti critici. Quelle persone e quelle aziende che si occupano di assaggiare e conseguentemente di dare punteggi e premi, aiutando così il lettore nel decifrare territori e annate. Io per primo non potrei farne a meno: il lavoro che fanno alcune pubblicazioni cartacee e tanti degustatori sulle loro testate è per me essenziale per districarmi tra i mille vini che mi interessano e nei confronti dei quali ho sinceramente voglia di essere sempre aggiornato, anche quando non riesco ad assaggiarli. Un interesse che si traduce in continue letture di report e di degustazioni, oltre alle tante pagine sfogliate di qual paio di guide che acquisto (classifiche mai, mio personalissimo coinvolgimento emotivo nei loro confronti: zero).
Poi ci sono le notizie. In questa newsletter cerco di segnalare quelle che mi hanno colpito di più, ma non passa giorno o quasi, che da qualche parte del mondo non succeda qualcosa di rilevante, che vale la pena di essere raccontato. Fatti di cronaca o fenomeni climatici, decisioni politiche o dati relativi a raccolta e vendite. Intercettare i più importanti non è difficile, in fondo basta seguire quotidianamente o quasi alcune delle maggiori testate specializzate internazionali (in Italia è un po’ diverso, non è raro che la notizia si accavalli con il comunicato stampa, e per forza di cose va fatta un po’ la tara a testata e firma – con alcune preziose eccezioni).
Senza dimenticare le tante testate minori che scrivono solo di vino, che compongono un vero e proprio universo. C’è di tutto e sono tantissime e inoltre sono posti dove non è raro imbattersi non solo in firme di grande talento, ma anche in articoli e post capaci di andare oltre la singola realtà e fare il punto su una determinata area o su un determinato tema. Poche magari le interviste, per non parlare dei cosiddetti long form, approfondimenti su uno specifico argomento da parte di persone molto “dentro” quella materia. Ma si tratta comunque di una marea di materiale che viene alimentato tutti i giorni, sempre.
Infine i social. Tra profili personali, pagine e gruppi è lì che si trovano quasi tutte le conversazioni sul vino, non di rado scambi che vale la pena seguire, segnalazioni preziose, report (tra dirette e storie) interessanti. Il problema, appunto, è il tempo (e in tutto questo non ho nominato i libri, anche senza scomodare la lingua inglese non sono pochi quelli che valgono la lettura, ogni anno, in italiano). Ma cominciamo.

Ha fatto molto discutere in questi giorni un pezzo di Camillo Langone uscito sulla prima pagina (!) del Foglio del 14 agosto intitolato “Vade retro champagnomani!”, secondo l’autore «vino per insicuri, complessati e provinciali». Se da una parte non stupisce leggere l’ennesima sterile provocazione di un autore che non da oggi si diverte a giocare con alcuni stereotipi del vino, dall’altra fa un certo effetto rilevare che invece di un vino prodotto nella Champagne (cosa peraltro priva di significato vista la sterminata quantità di etichette, maison, stili che è possibile trovare in questa grande regione della Francia) ha preferito un frizzante di Milan Nestarec, forse il più iconico tra i produttori di vino naturale della Repubblica Ceca. Proprio lui! Lo stesso Langone che durante l’estate di qualche anno fa ci allietava la siesta sotto l’ombrellone sostenendo che «in natura il vino non esiste (in natura a malapena esiste l’uva) e chi insiste a usare lo stolto aggettivo (naturale, ndr) si merita l’affermazione del grande vignaiolo abruzzese Francesco Paolo Valentini: “il vino naturale è l’aceto”». Che simpaticone sei, Langone.
Ancora un tema di strettissima attualità (che pure ha fatto assai discutere): il Consorzio del vino Brunello di Montalcino ha comunicato che a partire da quest’anno anticiperà la sua “anteprima”, ossia il momento in cui presentare a giornalisti e addetti ai lavori le nuove annate di Brunello e di Rosso, da febbraio 2022 a novembre 2021. Uno spostamento di appena 3 mesi che in realtà scuote nel profondo un sistema piuttosto collaudato. Ne ha scritto il solito eccellente Carlo Macchi su Winesurf. Il problema più grande, anche da qui, sembra quello di un giudizio su vini che poi usciranno in enoteca a distanza di un anno o quasi. Inevitabilmente vini che saranno cambiati, non poco: «Con questo anticipo a novembre si arriverà praticamente a valutare “l’uovo” Brunello di Montalcino di X o Y quasi un anno prima che la gente comune possa berlo. Infatti ditemi l’enoteca o il ristorante italiano che abbia in carta o in vendita le nuove annate di Brunello prima di maggio: molto più semplicemente le metteranno fuori ai primi freschi, a settembre/ottobre rendendo di fatto “vecchie” le degustazioni e i commenti dati circa un anno prima a dei vini sicuramente diversi e, allora, immaturi».
Women Making Changes In Their Family Wine Estates In Alsace, France. Cathrine Todd con un pezzo dedicato a 3 donne che stanno cambiando le sorti delle rispettive cantine di famiglia, in Alsazia – Agathe Bursin, Domaine Sohler, Domaine Gueth.
«Italian women are making world-class wine in Tuscany, which has historically been a male-dominated winemaking region», la bella storia di Alexandra Schrecengost di Virtual With Us, ispirata sulla via del vino da un discorso di Alessia Antinori. Su Pix.
Ancora Pix: A Short, Unexpected History of the Wine Glass.
Ultimissimo: Sweet Visciolata and the Fleeting Joys of Summer, un’estate italiana raccontata da Chris Malloy.
Ormai da anni la (un tempo gloriosa) guida “I Vini d’Italia” edita da l’Espresso è stata inglobata all’interno di quella dedicata ai ristoranti. Da volume a sé stante, voce straordinariamente stimolante all’interno del panorama italiano (disclaimer: ho collaborato alle ultime edizioni curate da Fabio Rizzari ed Ernesto Gentili, tra il 2014 e il 2016), a un pugno di pagine che racchiudono una breve lista di vini. Fa quindi un certo effetto vedere che l’Espresso, se da una parte tende a trascurare il mondo del vino, dall’altra ha appena pubblicato una guida dedicata alle birre.
Capitolo 2021: se per capire qualcosa sulla qualità della vendemmia che sta iniziando in questi giorni è ovviamente necessario aspettare un po’ (nonostante i soliti e gloriosi comunicati stampa di alcuni temerari consorzi) è già possibile parlare di quantità, almeno in linea di massima. Stupisce questo dato: “French Wine Production Could Be the Lowest in at Least 40 Years — If Not Ever, April’s devastating frost means production could drop as much as 30 percent from last year”. Occhio quindi ai prezzi. Su Food&Wine.
Sempre su Food&Wine, io poi trovo sempre molto intriganti i racconti da regioni e/o paesi considerati come minori, nel vino: The Secret History of Japanese Wine.
Corrado Dottori ha pubblicato sul suo blog l’introduzione a “Come vignaioli alla fine dell’estate”, il suo ultimo lavoro editoriale uscito 2 anni fa. Questa la chiusura: «Ho scritto questo libro con tutta l’urgenza che un mondo arrivato al capolinea può generare. Con gli occhi di un agricoltore che vede la natura cambiare giorno dopo giorno, immerso in una pratica quotidiana che dipende spesso da variabili incontrollabili. Ho scritto questo libro nella speranza che possa informare, angosciare, sensibilizzare. Che possa convincere almeno un solo lettore della necessità di un attivismo concreto e radicale contro il riscaldamento globale. Il pessimismo della ragione mi porta a pensare che sia già troppo tardi. Al tempo stesso credo che non si debba lasciare nulla di intentato. Lo dobbiamo ai nostri figli cui lasciamo un pianeta in fiamme».
Sempre Corrado sulla pagina Facebook de La Distesa, la sua famosa cantina di Cupramontana, nelle Marche, pubblica spesso delle brevi riflessioni sulle difficoltà sempre maggiori che il cambiamento climatico sta comportando, per chi fa agricoltura. A proposito proprio di questo 2021, post di un paio di giorni fa: «Comincio a pensare che qui a Cupra sia peggio del 2003, “Estremo anche l’andamento delle precipitazioni con i primi sette mesi del 2021 che sono stati i più siccitosi dal 1961. In altre parole, mai nella nostra regione è piovuto così poco negli ultimi 61 anni. La precipitazione totale media regionale nel periodo gennaio-luglio è stata di 267mm corrispondente ad un calo del 33% rispetto allo storico 1981-2010” (nota: va considerato che la gran parte di questi 267 mm sono caduti tra gennaio e aprile poi quasi nulla)».
Anche Eric Asimov sul New York Times si è occupato di cambiamento climatico in questi giorni. Prima si è occupato del pericolo incendi in California e di come tante cantine si stiano ingegnando per aggirarli, o quasi. Poi della storia, opposta, di 2 cantine di Paso Robles, sempre in California: una è costretta a irrigare, l’altra no.
Why Organic Winegrowing Can Be More Profitable Than Conventional. Interessante questa, specie per chi sostiene che fare biologico sia più dispendioso che fare “convenzionale” (vero, nella maggioranza dei casi). Un pezzo uscito su SevenFifty Daily che analizza come alla lunga sia più molto conveniente investire sul biologico.
Meet the wine world’s celebrity pruner, su Club Oenologique la straordinaria storia del friulano Marco Simonit.
A proposito di viticoltura: bassa resa è sempre sinonimo di vini migliori? No, su Wine Enthusiast.
Un bel po’ di dati su quello che è successo nel vino nel 2020, da Ipsos: Vino & Spirits in Italia, nel 2020 boom dell’e-commerce e di investimenti nel digital.

Illustrazione di Louise Sheeran

Quante belle storie intorno al vino, mi piacerebbe avere il tempo di scrivere anche io pezzi come questo: Meet Manhattan’s New Guard of Wine Pros. Sottotitolo: come 4 amici stanno ridefinendo la reputazione del vino in città, grazie a pranzi in un importante ristorante di Chinatown, in cui ognuno porta una bottiglia di Champagne.
A proposito di Champagne, grossi cambiamenti in vista. Ne ha scritto Maurizio Gily su Millevigne: «Il Consiglio di amministrazione del Syndicat Général des Vignerons ha appena preso due decisioni cruciali per il futuro dello Champagne: la possibilità di piantare le viti con densità più basse di quelle tradizionali e l’autorizzazione temporanea del vitigno resistente Voltis».
Una scelta che se da una parte guarda al cambiamento climatico e alla sostenibilità ambientale («la riduzione della densità tendenzialmente fornirebbe infatti uve più ricche di acidità e più resistenti allo stress idrico. Risultano inoltre leggermente meno sensibili alle gelate primaverili grazie alla posizione più alta dei germogli. Le primavere più calde degli ultimi anni hanno favorito un germogliamento più precoce, con maggiori rischi per i ritorni di freddo. Il secondo vantaggio riguarda l’impronta ecologica. La maggior distanza tra le file facilita l’inerbimento e il lavoro sottofila, come alternativa al diserbo e un minor consumo di pesticidi») dall’altra apre alla possibilità reale di meccanizzare parte del lavoro in vigna. Non a caso Dario De Marco su Dissapore scrive che «filari più larghi significa meccanizzazione della raccolta, una cosa che nella Champagne finora non veniva praticata proprio per una questione di spazi. Raccolta meccanica significa meno lavoro manuale, meno attenzione e cura: basterà un operaio ogni 7 ettari dove oggi ce ne vuole 1 per ettaro, come scrive Daniel Romano, giornalista esperto e piccolo produttore. Inoltre c’è una questione di dimensioni della pianta e rese: se si dimezza la densità, matematicamente le viti dovranno produrre il doppio».
A margine, una provocazione di Angelo Peretti: Aiuto, mi si sta prosecchizzando lo Champagne!
Fiorenzo Sartore, enotecario genovese e blogger del vino della primissima ora, ha pubblicato un breve report di un suo viaggio in Francia fra Borgogna e Champagne, lettura godibilissima: «Fissare un appuntamento con un vigneron non è facile. Soprattutto se ci si ostina a voler incontrare solo cantine artigianali. Inoltre ho scelto un periodo non facilissimo per l’accoglienza, alla fine di luglio ci sono lavori in vigna da fare, che preparano la vendemmia: trovare un incastro nella fitta agenda del vigneron è stato difficile e a volte impossibile. Oppure ci sono quelli che sono in meritata vacanza. Pazienza, nel caso organizzatevi con largo anticipo (cosa che ho fatto) e preparatevi a qualche “no monsieur” (cosa che ho fatto)».
Questa cade al momento giusto: Why French winemakers never reply to emails, un pezzo leggero leggero sul sito di Simon Woolf.
Un bel ritratto firmato da Anita Franzon di Paolo Monelli, giornalista e scrittore che tra le altre cose ha rappresentato un bel pezzo della narrazione del vino del Novecento.
Un’altra notizia che in questo caso ha scosso il mondo di Bordeaux: «Due prestigiosi Châteaux di Bordeaux – Cheval Blanc e Ausone – si sono ritirati dal sistema di classificazione ufficiale di St. Émilion, di cui rappresentano da sempre il vertice qualitativo. Entrambi hanno denunciato l’eccessiva attenzione, tra i criteri di valutazione, al marketing del prodotto e alla presenza sui social media rispetto al giudizio sulla effettiva qualità dei vini» (da Civiltà del Bere). Su The Drinks Business un’estesa analisi di cosa questo significhi per le cantine interessate e per la denominazione, tra pro e contro. A margine, considerazione mia: curioso che proprio una cantina di proprietà del gruppo LVMH, in questo caso Cheval Blanc, si lamenti della crescente importanza del marketing. You’ve got some nerve, come si dice.
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