La Polonia è pronta a dire addio al carbone e per favorire la transizione energetica ha deciso di investire nel nucleare. L’anno scorso il governo polacco ha firmato un piano da 32 miliardi di euro per dotare il paese entro il 2033 di una centrale nucleare. L’obiettivo è pulire un’economia ancora dipendente dal carbone per produrre elettricità senza emettere Co2. E per avvicinarsi così al traguardo indicato dall’Unione europea di dimezzare le emissioni di carbonio entro il prossimo decennio e azzerarle per la metà del secolo. Una scelta che, nella sua fattibilità, lascia però perplessi esperti e ambientalisti.
L’economia polacca dipende ancora molto dal carbone, di cui il paese fino agli anni ’80 è stato uno dei cinque più grandi produttori al mondo. È dal carbone, importato in parte anche dalla Russia, che la Polonia tutt’oggi ricava la maggior parte della sua energia elettrica.
Come spiegato dal Financial Times in un recente articolo, Varsavia prevede di spendere 32 miliardi nel nucleare e 28 miliardi di euro nell’eolico. Il piano energetico punta a ridurre la dipendenza dal carbone nella produzione di elettricità dall’attuale 70% all’11% entro il 2040. Le centrali nucleari dovranno garantire il 16% del fabbisogno elettrico del paese.
«Nei prossimi 20 anni, costruiremo un nuovo sistema energetico addizionale comparabile nella sua grandezza a quello esistente che lavora solo su fonti a zero emissioni: offshore, nucleare, fotovoltaico, biogas, biomasse, geotermico», ha spiegato il ministro del Clima e dell’Ambiente, Michal Kurtyka.
Per favorire la transizione verde, le autorità polacche hanno già in programma di chiudere entro il 2036 la centrale di Bełchatów, nella regione di Lodz, che produce elettricità bruciando carbon fossile e che dal 1982 ha riversato più di 1 miliardo di tonnellate di Co2 nell’atmosfera.
Non è la prima volta che la Polonia corteggia il nucleare. Il paese aveva già provato a dotarsi di una centrale sul Baltico nel 1982 ma il progetto aveva scatenato forti proteste ed era stato infine fermato. Proteste che si sono ora riaccese, nonostante la consapevolezza che il passaggio a un’economia più verde resti obbligato.
«Prima dell’annuncio degli ultimi piani dell’Ue sul clima, le persone si stavano già ponendo domande sull’uscita dal carbone e su quando sarebbe avvenuta. Ora non ci sono punti interrogativi. Per la Polonia non c’è altra via d’uscita che la transizione», ha detto Joanna Flisowska, capo della sezione di clima ed energia di Greenpeace Polonia.
Il luogo dove costruire il nuovo impianto nucleare non è stato ancora individuato ma una decisione verrà comunque presa quest’anno, rimandando al prossimo la scelta del sistema tecnologico a cui affidarsi, con gli Usa visti come partner favoriti.
Per gli ambientalisti, realizzare una centrale nucleare in poco più di dieci anni è un obiettivo irrealistico. Il progetto si incardina inoltre su un tema ancora sensibile e divisivo per l’opinione pubblica. Gli ultimi sondaggi rivelano di fatto una spaccatura a riguardo, con il 39% dei polacchi a favore del nucleare e il 45% contrario.
«Non c’è alcuna tecnologia in grado di prendere il posto dell’energia basata sul carbone, a parte quella nucleare. Mantenere l’efficienza energetica senza il nucleare durante la transizione energetica è impossibile per la Polonia», ha sottolineato Wojciech Dabrowski, direttore esecutivo di Pge, una delle più grandi compagnie energetiche del paese.
Il nucleare è un campo in cui investire non solo per il pubblico ma anche per i privati. Come raccontato dal quotidiano tedesco Deutsche Welle, due tra gli uomini più ricchi della Polonia hanno in programma di investire nel settore. Il multimiliardario Zygmunt Solorz-Zak pianifica di investire in un progetto della Russia per costruire una centrale nucleare a Kaliningrad, città che si trova in un territorio russo tra Polonia e Lituania. Mentre il magnate Michal Solowow, proprietario dell’azienda chimica Synthos, ha annunciato che realizzerà quattro piccoli reattori nucleari in Polonia. I due progetti non vedranno la luce prima della fine del decennio.
Tuttavia, anche se la Polonia dovesse mettere a punto il suo programma nucleare entro il 2033, garantire al paese la stabilità del sistema energetico non sarà facile. Alcuni esperti sostengono che il passaggio dal carbone ad altre fonti rinnovabili non possa avvenire in maniera brusca e che per ogni impianto spento si debba avere un’alternativa pronta per evitare il rischio di blackout.
«Anche se decidiamo di costruire una centrale nucleare il più velocemente possibile, sarà pronta solo nella seconda metà del prossimo decennio. Dobbiamo sopravvivere in qualche modo in questi anni per l’approvvigionamento del nostro sistema energetico senza il nucleare, solo con il gas, le rinnovabili e gli impianti a carbone rimanenti», ha spiegato al Financial Times Robert Tomaszewski, analista di Polityka Insight, un think thank energetico di Varsavia.
Avere abbastanza energia da soddisfare il bisogno di un paese è il nodo che la Polonia deve sciogliere.
Il ricorso al carbone, seppur sempre più residuale, andrà incontro a limiti e costi crescenti. Per le compagnie si profila infatti all’orizzonte un percorso a ostacoli. I prezzi dei permessi che le società devono comprare per poter emettere Co2, pagando un tot per ogni tonnellata rilasciata nell’ambiente, sono in aumento e le banche diventano sempre più riluttanti a concedere prestiti a chi investe nel carbone. Gli esperti prevedono dunque grandi difficoltà per gli impianti polacchi.
Nel campo dell’eolico, invece, il programma messo a punto dalla Polonia stenta a decollare a causa di vincoli ambientali e burocratici che hanno rallentato il mercato e l’installazione di nuove pale.
Per dire addio il prima possibile al carbone, il governo polacco ha deciso di puntare soprattutto sul gas che, secondo gli esperti, diventerà centrale nel processo di transizione energetica. Il paese ha già realizzato un terminale per il gas naturale liquefatto nel porto di Swinoujscie sul Baltico, e sta costruendo un gasdotto sottomarino collegato ai giacimenti in Norvegia. Con questo piano, l’utilizzo del gas dovrebbe dare un apporto sostanzioso al fabbisogno energetico, passando dall’attuale 10% al 29% nel 2030, fino al 33% nel 2040. Resta tuttavia il rischio di restare a secco nel caso in cui la Russia chiuda i rubinetti. Oltre al fatto di dover dipendere da una fonte che, a causa dell’aumento dei prezzi, secondo alcuni esperti sul lungo termine potrebbe diventare poco economica come il carbone.