Proudly elitistNessun uomo è un’isola, ma qualche giornale prova a esserlo (questo, ad esempio)

Che cosa hanno in comune un’espressione del New York Times, che ha definito Linkiesta “orgogliosamente elitaria”, e l’invettiva di Guia Soncini, che ha scritto proprio qui di essersi rotta i coglioni dell’Internet? La volontà di posizionarsi su superfici che riflettano il pensiero (possibilmente un pensiero lucido) e non il compiacimento del lettore e di Paperina76

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Questo giornale, riprendendo un giudizio del New York Times, ama definirsi “proudly elitist”, cioè orgogliosamente elitario. Cosa significa questa definizione? La sfera culturale (a cui dovrebbero appartenere i giornali) non coincide esattamente con gli schemi del mercato, dove un prodotto proudly elitist, o è realmente costosissimo o finge di essere esclusivo (in fondo l’obiettivo del mercato è vendere prodotti).

Il significato di proudly elitist, per un giornale, è quello di posizionarsi su superfici che riflettano il pensiero e non il compiacimento del lettore. Tra l’altro, questo posizionamento oggi è ancora più fondamentale alla luce della circostanza tecnologica che ci fa vivere in “bolle” dove incontriamo prevalentemente chi la pensa come noi. Un giornale proudly elitist, quindi, non può limitarsi a essere follower dei propri lettori, ma deve avere il coraggio di guardare le cose da angolature inusuali e mai scontate.

Ieri, su questo giornale, lo ha fatto la brava Guia Soncini (la cui divertente prosa è dannatamente sociologica) scrivendo una sorta di j’accuse in cui dichiarava di essersi “rotta i coglioni” di Internet e dei troppi vezzi che la società digitale impone al rapporto tra chi scrive e chi legge. La Soncini ha ragioni da vendere, ma la questione – dovendola necessariamente semplificare – è una diretta conseguenza dell’avvento della società di massa all’interno del canone alfabetico “culturale” (quello in cui la parola ha come finalità una sintesi e non solo l’esibizione delle proprie tesi).

Ciò di cui si lamenta la Soncini, in fondo, è l’assenza del pensare. Purtroppo, la società di massa (un fenomeno novecentesco che ha portato allo svilupparsi anche di due buone cose come la democrazia e l’economia di mercato) è un costrutto che non prevede l’elaborazione di un pensiero di sintesi. La società di massa può agire (anche se generalmente “viene agita”), ma non può pensare. Se pensasse, per prima cosa romperebbe la catena che la costringe in un’unica “massa” (a quel punto, però, la fatica di pensare prenderebbe il sopravvento inducendo l’aggregato sociale alla ricerca di una nuova catena costrittiva).

Insomma, essere proudly elitist, in senso culturale, significa non appartenere alla società di massa. Questo, ovviamente, non ha il significato caricaturale dello snobismo o della ricerca di passioni minoritarie, bensì quello disincantato di uno sguardo lucido e terreno sulle cose del mondo. Sul piano culturale, infatti, l’accezione contemporanea di “élite” ha ormai abbandonato le rovine del culturalismo istituzionale, per identificarsi in quelle isole di pensiero in grado di restare nel mare del presente senza farsi travolgere dalle sue innumerevoli onde. Tuttavia, per essere orgogliosamente elitari occorre accantonare ogni desiderio (o ambizione) di convincere gli altri. Se ciò dovesse accadere significa che qualcosa è andato storto.

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