Del certo non v’è certezzaTengo molto a ciò in cui credo, per questo lo metto spesso in discussione

Le più affidabili tra tutte le nostre convinzioni sono quelle che sopravvivono a verifiche costanti perché, lungi dall’essere davvero “nostre”, le convinzioni sono una ricchezza condivisa che il genere umano si scambia continuamente. Da Linkiesta Magazine in edicola, in libreria o su Linkiesta Store

European Southern Observatory

Io credo nella giustizia. Credo che la Terra sia rotonda. Credo che il mio nome sia Carlo e che quello di mio padre fosse Franco. Credo che la vita valga la pena di essere vissuta. Le cose in cui credo sono radicate in me. Mi definiscono.

Me le tengo care e le difendo strenuamente quando vengono sfidate. Ma di esse non ho certezza. Non abbiamo mai una certezza totale, e neppure ne abbiamo bisogno – né la vogliamo. Tra la completa ignoranza e la certezza totale c’è un vasto spazio intermedio che è il luogo in cui conduciamo le nostre vite.

Cresciamo, e accumuliamo conoscenze più affidabili, con un atteggiamento di sincera apertura verso la verifica delle cose in cui crediamo. Questo è la lezione fondamentale del pensiero scientifico. Le più affidabili tra le cose in cui crediamo sono quelle che sopravvivono alla verifica.

Se crediamo che la Terra sia rotonda e che la penicillina curi la polmonite, per esempio, è perché gli scienziati hanno dubitato delle affermazioni dei nostri antenati, secondo cui si sarebbe potuto condurre una nave giù dal bordo della Terra o secondo cui gli incantesimi erano un’efficace forma di medicina.

Albert Einstein mise in discussione la scienza newtoniana e la teoria dei quanti mette in discussione l’immagine del mondo della meccanica classica. C’è stato un tempo in cui pensavamo che la realtà fosse semplice: particelle nello spazio, che si muovevano nel tempo. Ora lo spazio si espande e si contrae e il tempo dipende da dove siamo e da come ci muoviamo. La fisica quantistica ha sovvertito la gran parte di ciò che eravamo abituati a credere a proposito della materia.

Questo non significa, tuttavia, che siamo all’oscuro di tutto, o che dovremmo sentirci paralizzati per la mancanza di una conoscenza perfetta. Se chiedo un’indicazione stradale – a una persona o al mio smartphone – non ho la garanzia di ricevere una risposta corretta. La persona potrebbe aver frainteso la mia domanda o potrei aver sbagliato lo spelling dell’indirizzo digitandolo sul mio smartphone. Ma questo non mi impedirà di decidermi per una direzione e di iniziare a camminare.

I nostri antenati credevano che si potesse affidare il diritto di voto soltanto ai proprietari bianchi. E che i neri stessero meglio ridotti in schiavitù. E che le streghe galleggiassero quando venivano buttate in uno stagno. Grazie al cielo alcuni, in passato, hanno avuto la forza di sfidare le convinzioni del loro tempo. Se non lo avessero fatto, staremmo ancora lapidando le donne per strada.

Questi mutamenti nelle cose in cui crediamo, peraltro, non tolgono valore alle nostre convinzioni. Nessuna persona, nessun libro, nessuna istituzione detiene la verità definitiva. L’apertura verso il cambiamento significa che le nostre convinzioni sono solide e che possiamo renderle ancora più solide. Significa che noi, quelle creaturine limitate che popolano il pianeta, siamo capaci di fare di meglio.

Lo stesso vale per le nostre convinzioni politiche. Una ferrea risolutezza fondata sulle salde convinzioni politiche di individui e gruppi ha creato il mondo moderno. Ma non viviamo in un mondo perfetto – anzi, è ben lontano da esserlo. Se abbiamo la volontà di sfidare le norme stabilite, possiamo rendere il mondo migliore per tutti.

Ma attenzione: sposare con impazienza ideologie nuove di zecca può essere anche più pericoloso che aggrapparsi a quelle vecchie. I neofiti sono pieni di passione. I neoconvertiti potrebbero non vedere il male che c’è nel loro nuovo credo. La Germania si innamorò dello sfavillante ordine del nazismo. Poco più di dieci dopo, con l’Europa in rovina e milioni di morti, il Paese sperimentò un brutale risveglio. Lo spaventoso orrore degli anni del nazismo divenne improvvisamente visibile.

Se non vengono mai sfidate, le vecchie convinzioni possono essere soffocanti; ma le passioni suscitate da nuove fedi possono essere la ricetta per il disastro. L’equilibrio non è mai semplice: non abbiamo altro strumento che ci possa guidare se non la nostra limitata e sempre insufficiente intelligenza. E nessun altro consigliere affidabile se non l’incertezza.

L’esperienza provoca cambiamenti nelle nostre convinzioni, ed esse cambiano perché tutti noi abbiamo delle cose in cui crediamo e continuiamo a confrontarle tra loro. La grande diversità fra gli esseri umani interconnessi tra loro è un humus fertile, in cui si crea un’infinita rete di scambi, che alimentano le nostre convinzioni ma permettono loro anche di evolversi. Come il pool genico di una specie, che muta e si ricombina costantemente, le cose in cui crediamo sono il risultato dei nostri continui scambi con il resto del mondo e con le persone che ci vivono.

Lungi dall’essere davvero “nostre” – come un marchio della nostra identità – le convinzioni sono una preziosa ricchezza condivisa che il genere umano si scambia continuamente. Le riceviamo, le approfondiamo, le mescoliamo con convinzioni che avevamo ricevuto in precedenza e le lasciamo in eredità. Scorrono attraverso di noi: siamo degli snodi nella loro evoluzione.

Questa rete di scambi è la nostra cultura condivisa: il dialogo senza fine che continuamente cresce e si arricchisce. Le nostre migliori convinzioni politiche, morali e scientifiche sono le configurazioni in evoluzione di questo lungo dialogo.

Io credo nella giustizia. Credo che la Terra sia rotonda. Credo che il mio nome sia Carlo e che quello di mio padre fosse Franco. Credo che la vita valga la pena di essere vissuta. Ma so anche quanto sia scivolosa la nozione di giustizia, e quanto se ne sia abusato per permettere ogni tipo di crimine.

La Terra è rotonda, ma so che non è proprio rotonda, come lo è una vera sfera. La sua forma è più schiacciata.

Il mio nome è Carlo e mio padre è cresciuto facendosi chiamare Franco – fino al giorno in cui ha scoperto che Franco era soltanto un nome che piaceva a sua madre e che in realtà, secondo il certificato di nascita, registrato da suo padre, si chiamava Giulio.

E, per quanto io creda che la vita valga la pena di essere vissuta, so anche che ci sono crisi e dure avversità che costringono troppe persone a pensarla in modo diverso.

Mi tengo care le cose in cui credo. Ma non smetterò mai di metterle in discussione.

©️2021 The New York Times Company and Carlo Rovelli. Distributed by The New York Times Licensing Group

Carlo Rovelli è nato a Verona nel 1956, è un fisico teorico e ha insegnato in università italiane, americane e francesi. È diventato celebre in tutto il mondo con il suo bestseller “Sette brevi lezioni di fisica” (2014). Il suo ultimo libro è “Helgoland” (2020).

Questo articolo di Carlo Rovelli è stato pubblicato sul nuovo numero di Linkiesta Magazine, in edicola a Milano e a Roma e nelle migliori librerie indipendenti d’Italia.
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