Un leader Nato due volteLa nuova vita di Theresa May

Nel Regno Unito è tradizione che gli ex primi ministri si ritirino dalla vita pubblica, almeno per un po’, quando finisce il loro mandato. Non è il caso della ex premier conservatrice, tra i nomi papabili per succedere a Jens Stoltenberg come segretario generale dell’Alleanza atlantica

LaPresse

«Che fine ha fatto la Global Britain nelle strade di Kabul?» A contestare così il governo tra i banchi di Westminster non è il leader laburista Keir Starmer, ma un’ex prima ministra dello stesso partito al potere: Theresa May. Non è la prima volta che May si fa carico di dare voce all’opposizione interna ai Tories, ma negli anni del machismo di Boris Johnson la sua autorevolezza politica è cresciuta, a colpi di obiezioni circostanziate e interventi misurati. All’uscita di scena in lacrime da Downing Street nel 2019 aveva promesso: «Continuerò a fare domande». Sta tenendo fede a quell’impegno. 

Nel Regno Unito, è tradizione che gli ex premier si ritirino dalla vita pubblica, almeno per un po’, quando finisce il loro mandato. Nel caso di May, l’epilogo l’ha vista costretta alle dimissioni dopo la peggiore sconfitta parlamentare mai patita da un esecutivo in carica nella storia moderna. La seconda donna a rivestire la carica dopo Margaret Thatcher non ha seguito la consuetudine. Sembrava il naufragio di una carriera, ma poco alla volta May ne è riemersa. La centralità riguadagnata in questi giorni è il culmine di una nuova vita da backbencher, come vengono definiti i parlamentari che non rivestono cariche nel governo né nella minoranza, quindi spesso più liberi dalle direttive di partito. 

Un mese fa, May aveva guidato la ribellione di alcuni deputati conservatori contro il piano del governo di tagliare 4 miliardi di sterline al Foreign Aid, il budget destinato agli aiuti internazionali e umanitari. In quell’occasione, ha votato per la prima volta contro il suo gruppo in 24 anni alla Camera dei Comuni. L’hanno seguita circa trenta colleghi e il bilancio è stato approvato con un margine più basso (35 voti) di quelli cui è abituato un esecutivo con una maggioranza di ottanta parlamentari. «Stiamo voltando le spalle ai poveri del mondo», ha denunciato May in quell’occasione.

Su toni simili è tornata durante la caduta di Kabul e dell’Afghanistan in mano ai talebani. May ha attaccato il presidente americano Joe Biden per aver proseguito la ritirata «decisa unilateralmente» dal suo predecessore Donald Trump. Nessun alleato ha messo in discussione la strategia, hanno obiettato dalla Casa Bianca. Mentre le scene di disperazione della capitale afghana in mano agli islamisti facevano il giro del mondo, le pressioni interne ai conservatori, le stesse riferite da May, hanno convinto Johnson a un maggiore attivismo. Ha invocato il G7 virtuale sulla crisi afghana, fissato per domani, mentre Downing Street varava un piano d’accoglienza per 20mila profughi in cinque anni e annunciava il raddoppio degli aiuti umanitari, a 286 milioni di sterline. 

«L’Occidente non poteva continuare questa missione a guida statunitense senza la logistica, l’aviazione e il potere americani», aveva argomentato Johnson in aula. Il Regno Unito ha perso 457 soldati in Afghanistan e ne ha schierati a rotazione circa centomila, spendendo 27mila miliardi di sterline in un ventennio. Nel suo intervento, May ha indicato una strada alternativa, anche se virtuale: «una coalizione di nazioni» che continuasse la missione di pace senza gli Stati Uniti. Poi ha toccato un argomento chiave: «Sicuramente serve una revisione di come opera la Nato», ha detto l’ex prima ministra.  

Come ha scritto Formiche.net, Theresa May è tra i nomi papabili proprio per succedere a Jens Stoltenberg come segretario generale della Nato. Una candidatura sponsorizzata come «eccellente» dall’attuale ministro della Difesa di Londra, Ben Wallace. Con il disimpegno di Washington, il Regno Unito ha l’occasione di occupare un vuoto nell’Alleanza atlantica. Il G7 sull’Afghanistan dirà qualcosa sullo stato della «relazione speciale», ricostruita in Cornovaglia, e sull’autonomia di manovra dell’Occidente meno gli Stati Uniti. 

Quanto a May, lo Spectator organo dell’establishment conservatore non la ritiene nella posizione di «vendicarsi» di Johnson, che però ha avuto un anno e mezzo per preparare una exit strategy prima del ritiro americano. Un tabloid come il Mirror, invece, riporta provocatorio che probabilmente sarebbe (stata) una buona prima ministra. Dopo aver capitanato il dissenso a Westminster, con lo sguardo rivolto alla Nato, chissà quale sarà l’ultimo atto della sua biografia politica. 

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