Un battito di ali in LouisianaIl prezzo del gas è determinato dal mercato? Sì, quello dei futures

Ripresa dei consumi, fame di energia pulita, cambiamento climatico: tutto vero, ma il rapporto domanda-offerta non riesce a spiegare da solo l’inflazione che si osserva in quel settore energetico: il G20 deve stabilire nuove regole sulle attività speculative

Photo by Ayesha Firdaus on Unsplash

In Italia, non solo tra le forze politiche, si discute dell’aumento delle bollette del gas e dell’elettricità, rispettivamente del 31 e del 40 per cento. È un trend inflattivo in atto in tutta Europa e nel resto del mondo. Manca, però, la chiarezza sulle cause dell’aumento.

Non basta riferirsi alla ripresa economica globale e dei consumi dopo i lockdown pandemici, alla domanda di energia pulita e al cambiamento climatico. Sono tutti aspetti veri, ma il classico rapporto tra domanda e offerta, a nostro avviso, non spiega il fenomeno dei prezzi così “inflazionati”. Però, diventano delle giustificazioni per operazioni di carattere finanziario, come i futures sul gas.

Com’è noto, il prezzo del gas naturale e quello dei futures sul gas sono definiti nello Stato della Lousiana dal cosiddetto Henry Hub. Dall’inizio dell’anno il prezzo dei futures sul gas contrattati negli Stati Uniti è cresciuto di oltre il 94 per cento. Cinque volte quelli di due anni fa.

Si aggiunga che sul mercato ci sono anche i cosiddetti CFD (contract for difference), strumenti finanziari derivati il cui utilizzo non comporta lo scambio fisico, in questo caso il gas. Bensì si prevede il pagamento in contanti della variazione di valore della materia prima alla scadenza del contratto.

I mercati principali dei futures sui prodotti energetici sono il Chicago Mercantile Exchange e il NYMEX di New York. Come per gli altri futures e, in genere, per i derivati finanziari, i trader possono usare il cosiddetto leverage, la leva, per cui un deposito limitato messo in garanzia permette di sottoscrivere contratti per un valore multiplo.

Pertanto, la sola spiegazione oggettiva dell’aumento del prezzo del gas, che sarebbe stato causato dalla crescita della domanda e dei consumi, non regge. Lo conferma anche lo studio, “The future of liquified natural gas: Opportunities for growth“, pubblicato nel settembre 2020 da McKinsey & Company, la maggiore società internazionale di consulenza strategica. McKinsey ha una sua credibilità. Per esempio, in passato ha elaborato lo studio più accurato sulle infrastrutture a livello globale.

McKinsey sosteneva che l’industria del gas naturale liquefatto (GNL) stava praticando prezzi bassi e un’offerta eccessiva e che, per la pandemia, la domanda di gas nel 2020 sarebbe potuta diminuire dal 4 al 7 per cento. Tanto che gli esportatori di GNL avevano cancellato alcune spedizioni di gas (più di 100 cargo statunitensi sono stati cancellati nel mese di giugno e di luglio 2020), poiché il prezzo spot nei mercati asiatici ed europei non copriva più il costo della fornitura.

In ogni caso, McKinsey spiegava che in futuro il GNL avrebbe avuto una grande potenzialità in rapporto a cinque aree di intervento: efficienza del capitale, ottimizzazione della catena di approvvigionamento, sviluppo del mercato, decarbonizzazione e digitalizzazione avanzata dei processi. In seguito, McKinsey ha valutato una crescita della domanda globale di gas intorno al 3,4 per cento annuo fino al 2035.

Perciò, l’aumento della domanda c’è, ma in dimensioni che non giustificano la sproporzionata crescita del prezzo del gas. Invece, l’aumento dei prezzi dei futures può deformare l’andamento del mercato.

Ovviamente i liberisti facinorosi sostengono che i futures non influenzano l’andamento dei prezzi, poiché si tratta di contratti tra privati, dove se uno perde, l’altro vince. Somma zero.

In realtà, i futures e in generale le operazioni speculative in derivati, grazie al leverage, raggiungono numeri altissimi e riescono a influenzare i mercati e determinare i prezzi di una materia prima. Si ricordi il balzo del petrolio fino a oltre 150 dollari al barile nel 2008, alla vigilia della Grande Crisi, per poi crollare. Allora si parlò dei famosi “barili di carta”, perché per ogni barile reale di petrolio, almeno cento barili erano trattati con strumenti speculativi.

Resta ineludibile, quindi, l’approvazione di nuove regole sulle attività finanziarie e speculative. Il G20 non può sottrarsi a questa specifica responsabilità. Se ne faccia carico anche il governo italiano.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club