L’idea di friggere un pezzo di pasta è antica. Lo facevano già i romani e un po’ ovunque in tutta Europa, dagli olandesi agli spagnoli ai tedeschi. Ma parlando di ciambella è inevitabile chiedersi chi ha inventato il buco. Perché quel piccolo cerchio di nulla cambia tutto. Altrimenti è un bombolone, una zeppola, un cruller, un bignè o un termine qualsiasi che identifica un pezzo di pasta fritta ma non una vera ciambella.
Il museo nazionale di storia americana conserva decine di foto e documenti storici sui doughnut, le ciambelle fritte di cui va pazzo Homer Simpson, popolari negli Stati Uniti almeno quanto la statua della libertà e il baseball. David A. Taylor sullo Smithsonian Magazine scrive che «l’umile ciambella ha un passato contorto che coinvolge immigrati olandesi, esuli russi, panettieri francesi, Irving Berlin, Clark Gable e un certo numero di nativi americani. Nel suo ethos democratico, nel suo ottimismo e nelle sue origini assortite, è un po’ lo specchio dell’America».
Se dovessimo cercare un punto zero nella storia di questo dolce – e soprattutto del buco – sarebbe una foto in bianco e nero scattata intorno al 1890. Mostra un uomo serio e barbuto che regge una ciambella sottile con un grande foro al centro: è il capitano di marina Hanson Gregory, discendente di una prospera famiglia di spedizionieri del Maine, secondo la leggenda l’inventore del buco che ha svoltato la storia alimentare degli Stati Uniti.
La leggenda narra che la madre di Gregory, Elizabeth, avesse l’abitudine di preparare un impasto fritto per il figlio e il suo equipaggio. Un giorno il capitano Gregory deve domare una tempesta in mare e, avendo bisogno di tenere entrambe le mani sul timone, infila il dolce in una delle sue impugnature, facendo un bel buco. In un’altra versione Gregory è a casa della madre e con una forchetta taglia la parte centrale del dolce che non si cuoce mai bene e risulta indigesta. Secondo lo storico del cibo John Mariani, il buco ha a più che fare con gli immigrati olandesi e con l’abitudine a inzuppare le ciambelle nel caffè ma le prove restano oscure.
Di certo c’è che, nonostante un’illustre carriera come capitano di lungo corso, il nome di Hanson Gregory viene tirato in ballo ogni anno il primo venerdì di giugno in occasione del Donut Day, la giornata nazionale della ciambella, istituita per ricordare le volontarie dell’esercito della salvezza che nel 1917 le servirono alle truppe americane durante la prima guerra mondiale.
Un poster di quegli anni le mostra così com’erano: degli anelli con un grande buco al centro, simili a quello che Gregory tiene in mano nel dagherrotipo di fine Ottocento. È a questo punto che la storia del buco ha una piccola svolta. Perché una volta tornati a casa, i soldati della Grande guerra – da allora per tutti, doughnutboys – vogliono la loro razione di ciambelle. Così nel 1920, Adolph Levitt, un intraprendente immigrato russo, inventa una macchina in grado di automatizzare la produzione. Di più: la mette in bella vista nella vetrina del suo negozio di Harlem in modo che le persone possano vedere con i propri occhi l’impasto trasformarsi in deliziosi anelli fritti allineati sul nastro trasportatore.
Levitt diventa in breve tempo il re della ciambella e costruisce dal nulla un impero stimato in 25 milioni di dollari. Le cronache raccontano che quando nel 1930 la sua macchina automatica fu installata in un bar a Times Square dovette intervenire la polizia per domare la folla che si accalcava davanti alla vetrina. Alla fiera mondiale del 1934 a Chicago, le ciambelle furono annunciate come il successo alimentare del secolo, simbolo di progresso tecnologico e promessa di prosperità. Costando solo uno scellino anche i più poveri potevano aspirare a mangiarne una. Ed è questa la vera magia di Levitt: trasformare della banale pasta lievitata e fritta in qualcos’altro, in un sogno di zucchero. Però concreto, da mordere.
Quando nel 1938 l’America si trova nel bel mezzo di una recessione economica, a qualcuno torna in mente l’epopea della prima guerra mondiale e si torna a friggere ciambelle, questa volta per aiutare chi ha perso tutto e non sa come andare avanti.
Sempre nei turbolenti anni Trenta un francese di nome Joe LeBeau vende la ricetta segreta di una ciambella lievitata a un imprenditore del Kentucky, Vernon Rudolph. Rudolph all’inizio vende i suoi dolci porta a porta poi nel 1937 apre un piccolo negozio a Winston-Salemand, il Krispy Kreme Doughnuts. Copiando l’idea di Levitt, anche Rudolph mette in vetrina la sua macchina sfornaciambelle, incantando i passanti.
All’inizio degli anni Cinquanta, per soddisfare l’aumento della domanda e stare al passo con la concorrenza di Dunkin’ Donuts, un’altra catena emergente, Rudolph introdusse il Ring King, una macchina automatizzata che poteva sfornare 75 dozzine di ciambelle l’ora. Levitt nel frattempo aveva avviato la catena Mayflower, con negozi sulla costa Atlantica, tra cui Washington.
E i buchi? In un’immagine conservata nell’archivio Smithsonian, un uomo mostra come si siano progressivamente ristretti tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento. In un’altra foto scattata nel 1955 si vede chiaramente che i fori sono molto piccoli. A un certo punto, evidentemente, la gente ha iniziato a volere più sostanza oppure, più probabilmente, la produzione automatizzata ha rimpicciolito la loro forma. Facendole con più pasta e meno vuoto le ciambelle risultavano più resistenti e meno soggette a rompersi. Inoltre, non dovendole più infilzare a una a una per friggerle ma affidando il processo a una macchina, la grandezza del buco non era più un problema.
Levitt come sempre si dimostrò un passo avanti e sulle scatole di Mayflower fece scrivere: «Mentre cammini nella tua vita, fratello, qualunque sia il tuo obiettivo, tieni d’occhio la ciambella e non il buco».