L’attenzione all’ambiente non è solo uno slogan usato da aziende e associazioni per dimostrarsi interessate ai temi green. È uno degli argomenti trasversali che coinvolge tutti i settori, dalla gastronomia alla moda, dall’industria pesante all’intrattenimento, dalla mobilità al settore energetico. Non è un caso che l’Unione europea abbia chiesto agli Stati membri di progettare i Recovery Plan in modo da destinare il 37% degli investimenti alla transizione verde.
L’Italia non fa eccezione. Ed è inevitabile che anche qui siano emerse, negli ultimi anni, numerose nuove figure professionali che operano, in un modo o nell’altro, nel settore ambientale. Tra queste ce n’è una che fino a pochi anni fa era vista come marginale e che invece sta diventando sempre più rilevante: l’avvocato ambientale, cioè un giurista che grazie alla sua esperienza e alle sue conoscenze, è in grado di interpretare correttamente le norme comunitarie, nazionali e locali mettendosi al servizio di imprese, persone fisiche (raramente) e amministrazioni che intendono operare nel rispetto delle disposizioni presenti in materia.
«Il diritto ambientale italiano si ritiene abbia origine con la prima disciplina organica a tutela delle acque negli anni Settanta», spiega l’avvocato ambientale Enzo Pelosi, fondatore dello Studio Legale Ambientale Pelosi. «Si tratta di una figura professionale che si è diffusa soprattutto nell’ultimo decennio, anche grazie all’impulso della normativa comunitaria. Ovviamente è una professione in costante evoluzione, alla luce dello sviluppo della green economy, della nuova sensibilità ambientale delle nuove generazioni e in generale dei cambiamenti climatici che impongono l’adozione di politiche ambientali differenti e più idonee».
La formazione
Le università italiane cominciano a progettare e inserire, nei propri programmi, corsi di studio e cattedre legate a questo tema. Gli avvocati che vogliono entrare in questo mondo hanno la possibilità di frequentare master – generalmente si tratta di corsi biennali di almeno 200 ore – per conoscere le norme e acquisire una specializzazione ulteriore.
Poi però è importante legare il tema della formazione accademica alla pratica: è il punto più delicato, spiega l’avvocato Pelosi, quello su cui si deve lavorare di più perché la normativa è in costante evoluzione e occorre continuare a formarsi e aggiornarsi giorno dopo giorno, e imparare il mestiere sul campo.
«L’evoluzione normativa, in materia ambientale, è evidente. A differenza di altre branche del diritto che sono meno dinamiche nella loro evoluzione più consolidate – spiega l’avvocato Pelosi – nel diritto ambientale si assiste ad una proliferazione di norme e ad un sistema articolato di fonti del diritto con ruolo sempre più incisivo affidato a quelle comunitarie. Quindi l’avvocato ambientale deve non solo dotarsi di una specifica, adeguata e complessa formazione in materia, ma una volta formatosi deve anche costantemente aggiornarsi».
Il giurista ambientale, oltre a dover essere adeguatamente preparato e costantemente aggiornato, deve avere una grande passione per la tutela dell’ambiente. Dai temi globali, come il cambiamento climatico, la transizione energetica, l’inquinamento degli oceani, fino a quelli che hanno un’area di influenza più ristretta, ma di impatto sulla vita delle persone – quindi, ad esempio, l’inquinamento atmosferico, o lo smaltimento dei rifiuti.
Il lavoro quotidiano e l’esperienza professionale
Proprio per questo, nel quotidiano, un avvocato ambientale è in dialogo costante con decine di altre figure professionali, come ingegneri, geologi, esperti di tecnologie applicate al settore ambientale: deve avere la capacità di interloquire con personalità che hanno un’altra formazione.
Lo spiega Maria Cristina Breida, Responsabile del dipartimento di diritto ambientale dello studio legale Legance: «Il percorso accademico va sempre connesso a una certa sensibilità verso tematiche tecniche, e a una capacità di comunicazione che è propria di un giurista».
Perché nel lavoro di tutti i giorni può capitare di confrontarsi con realtà molto differenti. «Un giorno si dialoga con privati, con aziende, un’altra volta viene richiesta consulenza su un dettaglio specifico, o magari si chiede all’avvocato di lavorare a un tema di programmazione ambientale – aggiunge Breida – che porta il giurista a lavorare al fianco di altre professioni per creare valore aggiunto all’azienda e al contesto nel quale essa opera. Quindi è un lavoro che va oltre la semplice compliance, l’osservanza delle norme. Deve anche produrre impatto positivo sui processi delle aziende e sul contesto di riferimento».
Lo stato dell’arte in Italia
Da questo punto di vista, l’Italia, spiega l’avvocato Breida, è piuttosto ricettiva sul tema. Perché negli ultimi 25 anni c’è stata un’accelerazione di due tipi: da un lato sono cresciute le normative organiche in materia, che esistevano già, c’è una grandissima giurisprudenza in materia, una legislazione; dall’altro è aumentata anche la sensibilità percepita nell’opinione pubblica.
«Prendiamo il mondo delle aziende – conclude Maria Cristina Breida – sappiamo ad esempio che non tutte le realtà sono pronte a recepire tutte le disposizioni sul tema. Magari lo sono soltanto quelle più strutturate. Poi però le aziende più piccole, una volta compresa l’importanza di avere una visione e una programmazione anche sul capitolo green, fanno un passo avanti e scelgono di investire in questo settore. La realtà italiana sembra abbastanza forte da un punto di vista normativo ma anche culturale in questo campo».