La coalizione di governo è destinata a spaccarsi. E il presidente del Consiglio non potrebbe sopportare un anno di campagna elettorale permanente. Per cui Mario Draghi dovrà andare al Quirinale, e poi subito alle urne. È questa – in sintesi – la ricetta che il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, leghista, fornisce in un’intervista alla Stampa. Assicurando, dopo le turbolenze dei giorni scorsi, che non ci sono due Leghe: «Una sola, fatevene una ragione».
O al massimo, aggiunge, «sensibilità diverse. Amando le metafore calcistiche direi che in una squadra c’è chi è chiamato a fare gol e chi è chiamato a difendere. Io per esempio ho sempre amato Pirlo. Qualcuno deve segnare, qualcuno deve fare gli assist». Lui, spiega, preferisce «guardare lontano restando dietro. Se fai il front-man finisce che ti perdi nelle risse».
Ma precisa che non è stato lui ad affossare Luca Morisi, inventore della “Bestia” social di Salvini, che come si è saputo oggi è indagato dalla Procura di Verona per cessione e detenzione di stupefacenti.
«Io lo rispetto tantissimo Morisi. È intelligentissimo. Fa un lavoro che io non capisco, perché sono a-social. Ma lui è super bravo», dice Giorgetti.
Poi c’è la questione Quirinale e voto. Secondo Giorgetti, le possibilità che Berlusconi faccia il presidente della Repubblica sono «poche». Allora, perché Salvini rilancia la sua candidatura? «Per evitare di parlare di altre cose serie», risponde. E cioè: «Draghi. La vera discriminante politica per i prossimi sette anni è che cosa fa Draghi. Va al Quirinale? Va avanti col governo? E se va avanti con chi lo fa?».
Giorgetti, dice, «vorrei che rimanesse lì per tutta la vita. Il punto è che non può». Il motivo, secondo Giorgetti, è che «appena arriveranno delle scelte politicamente sensibili la coalizione si spaccherà. A gennaio mancherà un anno alle elezioni e Draghi non può sopportare un anno di campagna elettorale permanente».
Fino ad oggi non si è preoccupato dei partiti. Ma «da gennaio la musica sarà diversa. I partiti smetteranno di coprirlo e si concentreranno sugli elettori». Per cui, spiega il ministro, «l’interesse del Paese è che Draghi vada subito al Quirinale, che si facciano subito le elezioni e che governi chi le vince».
Dopodiché «Draghi diventerebbe De Gaulle». È questo «l’interesse del Paese». Il rischio però è che i partiti «butteranno via» i soldi europei. «Oppure non li sapranno spendere».
Lo scenario B, «complicato» secondo il ministro, è invece che Draghi rimanga al suo posto. Ma Mattarella resterebbe «solo se tutti i partiti lo votano. E la Meloni ha già detto che non lo voterà». E neanche Salvini lo voterebbe: «Penso di no».
Casini, invece, «non lo escluderei. Casini è amico di tutti, no?».
Da sinistra, intanto, torna la discussione sul salario minimo. Dopo che alla tre giorni sindacale organizzata da Landini a Bologna il commissario europeo al lavoro, Schmit, ha rilanciato il salario minimo europeo. «Il dibattito è aperto anche se va inserito in un discorso più ampio. E poi, a una settimana dal voto, questa discussione puzza di demagogia», dice Giorgetti, che pure ammette di avere un buon rapporto con il ministro Orlando e con Landini. Ma il problema – spiega – è che «recitano una parte. È tutto un copione, a cominciare dai tavoli di crisi. Tutta una rappresentazione per l’opinione pubblica. Come se fossimo negli anni ’80. Invece sulle cose concrete possiamo incontrarci. E spesso lo facciamo». E Bonomi? «Ha fatto bene Renzi a dirgli di darsi una calmata. È come se anche la Confindustria non avesse il senso del momento».
All’orizzonte ora ci sono le amministrative del 3 e 4 ottobre. Sul voto a Roma Giorgetti dice: «Dipende da quanto Calenda riesce a intercettare il voto in uscita dalla destra. Nei quartieri del centro penso che sarà un flusso significativo. Ma non so come ragionino le periferie. Se Calenda va al ballottaggio con Gualtieri ha buone possibilità di vincere. E, al netto delle esuberanze, mi pare che abbia le caratteristiche giuste per amministrare una città complessa come Roma». E se al ballottaggio ci vanno Gualtieri e Michetti? «Vince Gualtieri», risponde. E ammette: «So che il candidato giusto sarebbe stato Bertolaso».
E a Milano? «Sala può vincere al primo turno». Mentre a Torino, il candidato di centrodestra, Paolo Damilano, secondo Giorgetti può «vincere al secondo turno… Paolo è un candidato civico. Il voto politico si esprimerà al primo turno. Poi conterebbe la persona e la città potrebbe convergere su di lui».