Il testo della legge delega sulla riforma fiscale non è completo. Le distanze tra i partiti ancora ci sono eccome. Ma, secondo quanto scrive La Stampa, il presidente del Consiglio Mario Draghi vorrebbe già portare il testo in consiglio dei ministri entro la fine della settimana.
Il punto di partenza sarà l’indagine conoscitiva e il testo votato all’unanimità dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato a giugno. Il documento contiene allargamento della no tax area, superamento dell’Irap, semplificazione degli scaglioni Irpef e taglio dell’aliquota concentrato nella fascia di redditi fra i 28 e 55mila euro.
Del testo si è discusso a lungo ieri mattina in un vertice a Palazzo Chigi con Draghi, il ministro del Tesoro Dainele Franco, il consigliere economico Francesco Giavazzi e il sottosegretario Roberto Garofoli. «Abbiamo trovato un accordo su alcuni punti», spiega la ministra Maria Stella Gelmini, di Forza Italia. Ma non sulla flat tax, «che ha una caratterizzazione politica e mancano le condizioni politiche per portarla avanti». Ma «abbassamento dell’Irpef sul ceto medio» e «riduzione se non l’abolizione dell’Irap» sono «punti condivisi da tutti i partiti».
«La riforma del fisco la faremo quando andremo al governo noi», diceva qualche giorno fa Matteo Salvini. Anche questa volta, però, Draghi ha deciso di tirare dritto con la sua agenda. Secondo una fonte di governo presente al vertice riportata dalla Stampa, «sarà un testo abbastanza generico, ma utile al dibattito in Parlamento».
L’iter di approvazione di una legge delega è complesso: il governo presenta un testo, lo sottopone al Parlamento, il quale a sua volta dà mandato al governo di adottare successivi decreti legislativi. Difficile fare previsioni su cosa produrrà effettivamente la delega, che in ogni caso entrerà in vigore nel 2023.
Anche perché, ricorda La Stampa, c’è da capire come finanziarla. A bilancio ci sono quasi 3 miliardi, al momento sufficienti a finanziare un intervento parzialissimo. Per fare di più, ad esempio ridurre le aliquote sul ceto medio, occorre finanziarla in deficit o aumentare il gettito di altre voci. Una di quelle possibili, invocata a sinistra, è la revisione delle rendite catastali. Ma la Lega ha già detto no, e così il progetto è stato accantonato per l’ennesima volta.
Tutti i partiti sono favorevoli a mandare un segnale ai redditi medio-bassi, ma ciascuno propone di partire da una voce diversa: c’è chi chiede di tagliare l’Irpef (Forza Italia e Lega), chi il costo del lavoro in busta paga (il Pd), chi l’abolizione dell’Irap.
E mentre il governo tenta la spinta finale per portare il consiglio dei ministri la delega sul fisco, si scaldano i motori anche per le misure che nella manovra d’autunno potrebbero anticipare qualche obiettivo della riforma. A partire dal costo del lavoro, scrive Il Sole 24 Ore. Sul tavolo ci sarebbero le risorse: 2,3 miliardi del fondo per ridurre la pressione fiscale istituito con la legge di bilancio dell’anno scorso sono rimasti liberi. E tra le priorità espresse da una larga parte della maggioranza, c’è quella di ridurre il cuneo fiscale.
Si guarda alla Cuaf, la Cassa unica assegni familiari, un onere a carico dei datori di lavoro che serve a finanziare il sostegno economico ai nuclei. Abolirla significherebbe risparmiare 2 miliardi, che potrebbero essere usati per un intervento strutturale e definitivo che porterebbe a una riduzione del costo del lavoro lato imprese, ma a beneficiarne sarebbero anche le famiglie che pagano il contributo per colf e badanti.
In alternativa, si ipotizza di avviare già con la manovra la riduzione della terza aliquota Irpef, che sopra i 28mila euro di reddito produce lo scalone dal 27 al 38%. Ma questa opzione sarebbe più complicata perché costa 3 miliardi all’anno e perché finirebbe per finanziare una misura quasi impercettibile dagli interessati ed estesa ai redditi più alti.
E in maggioranza c’è anche chi vorrebbe tagliare l’Irap già a gennaio con una norma inserita nella legge di bilancio. Luigi Marattin di Italia Viva, presidente della Commissione Finanze della Camera e autore della complessa mediazione sul testo della delega, ha lanciato un’idea che piace a destra e lascia fredda la sinistra: far assorbire l’Irap a carico delle grandi imprese dall’imposta sulle società (Ires) e contestualmente cancellare l’Irap. In questo caso sarebbero sufficienti i tre miliardi già a disposizione.