«Una rivoluzione». Ci crede tantissimo, Enrico Letta, a questo progetto delle Agorà democratiche: ma a che servono? Saranno veramente utili o un diversivo per acchiappare qualche simpatizzante? Dovrebbe essere l’occasione e lo strumento per fare quello che tutti i segretari, tutti, dicono da sempre: aprire il Partito democratico all’esterno, costruire fuori dal palazzo del Nazareno un programma fondamentale per vincere le prossime elezioni.
Come funzioneranno, queste Agorà, il segretario del Partito democratico lo ha un po’ spiegato ieri alla Festa nazionale dell’Unità: «Chi si registra sulla piattaforma avrà la titolarità di costruire con 20 persone un’agorà per mettere a fuoco un’idea». Nel calderone, ovviamente governato da un algoritmo, finiranno tutte le proposte che riceveranno “like” e le prime 100 saranno portare avanti dal partito. Tutti alla pari. Può marciare anche una proposta non del segretario, al limite – se capiamo bene – osteggiata dal segretario.
È qui la «rivoluzione»? Il tentativo è di risvegliare quel pezzo di elettorato che da tempo vive il Partito democratico come un pezzo tra i tanti del puzzle della politica italiana, di rimotivare iscritti che sentono di incidere poco nelle scelte del partito, aprire qualche canale con la società che il tran tran politicista ha via via ostruito. Sembra una scommessa seria. Sulla carta, almeno.
Questa “via informatica” alla politica vuole ovviamente essere tutt’altra cosa da Rousseau, il fantasma telematico che ha governato i passaggi più delicati della vita del Movimento 5 stelle, una roba che è finita come è finita. Qui di casaleggiano c’è ben poco.
«Noi lavoriamo sulla democrazia partecipativa», dice Letta in opposizione alle fantasie grilline, segnate tra l’altro dal punto dolentissimo della mancanza di trasparenza. Il Partito democratico sa che qui c’è un problema. Ma Letta è felice di aver messo in campo 6 “osservatori indipendenti” (il nome sa un po’ di osservatori delle Nazioni unite nei Paesi antidemocratici ma insomma): Gianrico Carofiglio, Andrea Riccardi, Annamaria Furlan, Monica Frassoni, Carlo Cottarelli e Elly Schlein. Nomi importanti. Evocativi di aree diverse. Dovrebbero vigilare su tutto il processo e dare una mano sui programmi.
La macchina non è ancora esattamente chiaro dove approderà. Né è facile intuire il nesso tra questa iniziativa esterna e il dibattito interno (per la verità un po’ addormentato): quando si discute la linea, con un po’ meno di vaghezza? Quali alleanze, quale legge elettorale, quali proposte economiche? Il Partito democratico “tira” a sinistra (d’altra parte è la sinistra interna a dare le carte), e quindi quale rapporto con i riformisti? E Conte è ancora il punto di riferimento dei progressisti? Non saranno certo le Agorà a dare queste risposte po-li-ti-che.
È chiaro che Letta non ha in agenda un congresso o comunque un appuntamento nazionale ma non sarebbe giusto sospettare che le Agorà siano un modo per eludere il momento di una verifica congressuale: prima ci sono le amministrative di ottobre che sulla carta vedono il Partito democratico in grande spolvero – forse un secco 5-0 contro la destra – e poi il cruciale snodo del Quirinale, sul quale il segretario non si espone («Se ne parla l’anno prossimo») anche se si attende il discorso finale alla Festa di Bologna per leggere più o meno tra le righe se, come sembra, egli preferisca un Mattarella bis e se auspichi Mario Draghi a palazzo Chigi fino al 2023.
In verità, la frase l’ha pronunciata, vedremo domenica prossimo se le ribadirà. Di certo, il big match del Quirinale con le Agorà democratiche non si incontra proprio. Sarebbe divertente se qualcuno desse vita ad un’Agorà per sostenere Sergio Mattarella ancora al Colle.